venerdì 19 giugno 2009

L'utilizzatore finale



Viviamo in una società in cui il corpo della donna è usato per scopi politici, economici, in generale egemonici; questo abuso lo si giustifica con una apparente “libertà di espressione” di fatto inesistente.


Dopo le recenti accuse che vedono coinvolto il Presidente del Consiglio per uno scandalo di sesso a pagamento il suo avvocato Christian Ghedini, nonché parlamentare del PdL, ha difeso Berlusconi dicendo che egli non avrebbe commesso reato essendo soltanto (soltanto?) “l'utilizzatore finale”.
Ne si evince una concezione della donna del tutto improntata al dominio maschilista e, in sostanza, patriarcale. La donna è un semplice oggetto da “utilizzare” e chi ne approfitta è un semplice “utilizzatore” come può essere utilizzatore chi guida un'automobile.
Questa concezione è stata più volte adoperata dalla classe al potere per costruire un consenso impulsivo e irrazionale, per mezzo dei media che veicolano un'immagine “disponibile” della donna, di un corpo femminile pronto a soddisfare il desiderio, di potere più che di eros, dell'uomo padrone.
“Le donne sono tutte puttane” Questa è la frase ricorrente, se non esplicitamente dichiarata sicuramente sottintesa, in ambienti fortemente monopolizzati dalla cultura maschilista, buttata spesso nella mischia da discorsi apparentemente banali e futili, fatta passare come innocua goliardata, ma che in realtà rivela una forma mentis del tutto impostata allo sfruttamento del corpo femminile e della sua immagine edulcorata dai media.
Le pubblicità di note marche di diversi prodotti espongono un corpo femminile languido e offerente, abbandonato allo sguardo maschile. Con i prodotti spazzatura dell'industria culturale che popolano le televisioni, dalle commedie sentimentali ai varietà, con un'abbondante dose di gusto kitsch, viene fatta passare l'idea di una donna sempre a disposizione delle esigenze dell'uomo, siano queste sessuali, professionali o comunicative. Le strategie di marketing e di promozione del prodotto sono tutte legate per lo più alla esibizione dell'immagine fruibile della donna.
Quello che viene fatto passare per “pansessualismo” è in realtà il desiderio di possesso assoluto della donna, un desiderio che ha poco a che fare con la sessualità, seppure questa è il veicolo attraverso cui questo desiderio si manifesta, ma che è invece legato ad esigenze di dominio di classe.
Attraverso il corpo femminile si comunica una strategia vincente, perché si offre una immagine di sé di padrone, di dominatore. Con questa strategia si può conquistare il potere politico e, prima ancora, quello economico.
Certo, l'egemonia maschile è un retaggio di una civiltà pre-borghese e patriarcale, una società di stampo feudale e familistico. Ma questo retaggio non è indipendente da quelli che sono i nuovi strumenti di dominio, il dominio delle società moderna. Un simile pregiudizio, una simile persistenza culturale che non risponde più in automatico a mutati rapporti di produzione, sopravvive e prolifica nonostante tutto, e può prolificare perché viene mantenuto in vita ed aizzato dai nuovi padroni della Proprietà e dello Stato per i propri interessi.
L'ideologia è fondamentale per consolidare un dominio che poggia su basi materiali e di classe. Perché ad agire per gli interessi dominanti non sia solo la ristretta cerchia dei dominatori, serve una ideologia che faccia apparire quegli interessi come “bene comune”, “valore universale”.
Ma questa ideologia non è sempre palese e dichiarata, fondantesi su precise e consapevoli basi dottrinali e teoriche. Non è sempre raffinata ed elaborata, dotata di una struttura complessa. L'industria culturale, infatti, tende a delegittimare ogni costruzione intellettuale che non si attenga all'interpretazione superficiale, alla “banalità”, alla appariscenza dell' “effetto speciale”, al cattivo gusto, insomma, alla evidenza più assoluta e soverchiante dell'immagine virtuale. Questa evidenza però nasconde, con una certa astuzia, i veri scopi della comunicazione. Delegittimando il discorso teorico complesso, l'analisi sistematica e organica, si sconfigge l'avversario più agguerrito sul piano della consapevolezza intellettuale. La coscienza della propria condizione sociale così viene bandita come “ideologica” per essere sostituita da un'altra ideologia destrutturata e destrutturante, l'ideologia “post-moderna”, “iper-realista”, della censura interpretativa. Ad essere censurata non è la parola in sé, la forma del discorso, come avveniva nei vecchi sistemi di dominio, ma la possibilità di interpretare quel discorso diversamente da quanto viene palesemente dichiarato. Non è sul mittente che si abbatte la censura, ma sul ricevente, sul fruitore del discorso, su colui che dovrebbe beneficiarne. La libertà di parola rimane formalmente e giuridicamente intatta. Ma ne si erode la sostanza, la base sociale. Togliendo a chi intende comunicare un pubblico interessato a ricevere, gli si toglie, di fatto, anche la possibilità di comunicare. Il messaggio viene censurato non vietando la possibilità di formularlo, ma escludendo quella di interpretarlo.
Ma l'apparenza, la superficie, che vorrebbe essere fatta apparire come l'unico referente esistente, cela in realtà un altro messaggio che viene fatto trapelare al destinatario senza che questi ne abbia coscienza. Demolendo la difesa razionale, la contestualizzazione del messaggio e la sua analisi connessa a tale contestualizzazione, demolendo, cioè, la riflessione critica, è possibile infiltrare nella mente del destinatario un certo messaggio senza bisogno di una valida e articolata giustificazione. I mezzi di comunicazione, così, disabituano il pubblico all'attenzione critica, convogliandola tutta sull'esteriorità, e permettendo così l'interiorizzazione dell'oggetto della comunicazione senza passare per la sua interpretazione.
È in questo modo che la concezione maschilista viene trasmessa alle masse. I mezzi di comunicazione moderni danno la possibilità persino di ampliare la potenzialità di persuasione. Non è necessario che la platea di fruitori del messaggio sia per forza ignorante e sprovveduta sul piano intellettuale. Essi raggiungono e conquistano anche le fasce più colte di pubblico perché nel momento della comunicazione hanno azzerato la capacità e la volontà critica.
Così, in forma strisciante, non dichiarata, latente, viene fatta filtrare l'ideologia che serve ai dominatori. In realtà la “profondità” del messaggio esiste ed è assai evoluta; ma questa “profondità” non vuole rivelarsi, si nasconde al destinatario, perché altrimenti questi non potrebbe che rifiutarla. Non è la polivalenza di interpretazioni dell'opera d'arte. L'oggetto vero del discorso, al contrario, quello celato, non ha attinenza con la superficie della comunicazione. Le trame delle soap operas televisive sono in genere sempre uguali e perfettamente interscambiabili tra di loro. La specifica qualità del prodotto da pubblicizzare non è rilevante ai fini del modo in cui lo si comunica. In genere non ha addirittura nessuna attinenza. Se si vuole fare la pubblicità di un'auto, il messaggio non è l'auto in sé, o un discorso sull'auto, ma l'apprezzamento sociale che deriverebbe dall'acquisto, lo status, il prestigio. Questo prestigio non è legato alle qualità intrinseche dell'auto, alle sue caratteristiche tecniche, alla potenza del motore o alla eleganza della carrozzeria. Ma al messaggio che attraverso l'immagine esteriore dell'auto trasmette prestigio.
Similmente viene usata l'immagine del corpo della donna. Esso viene deprivato delle sue funzioni e attività vitali. Ne rimane solo l'immagine che serve per veicolare l'idea del potere, del successo. La donna nella comunicazione è un oggetto, un oggetto di prestigio, come un'auto di lusso, un oggetto il cui possesso esibito esprime la capacità e la legittimità del dominio di chi lo esercita.
Avere molte donne vuol dire comunicare il proprio successo, la propria attitudine al comando e al possesso.
La manifestazione di questo successo, basta di per se stesso a giustificarlo. È uno circolo vizioso. Se si ha successo vuol dire che lo si è meritato. È un ragionamento che non regge alla più elementare analisi, neanche sociale e storica, ma semplicemente logica. Eppure questo concetto incoerente viene acquisito dalla più vasta platea, anche da quella più evoluta sul piano intellettuale.
Il messaggio viene accettato così come appare perché la possibilità che significhi qualcosa di diverso è stata esclusa a priori, prima ancora che la comunicazione abbia inizio.
Attraverso la banalità simulata, lo scherzo, la “goliardata”, si comunica un'idea, un ordine: il potere è nelle mani giuste e deve restarvi.
Attraverso la barzelletta a sfondo sessuale, attraverso le allusioni sessiste e spesso anche razziste, attraverso la gestualità marcata , attraverso la descrizione della propria virilità e del proprio potere sulle donne, attraverso l'immagine della donna – una donna posseduta, disponibile, fruibile, dominata, una donna, naturalmente, puttana, spogliata da tutte le sue qualità, di tutta la sua personalità e di tutti i suoi caratteri che la rendono un essere vivente e pensante, perché possa essere ridotta a cosa – attraverso l'immagine della donna dominata dal maschio si comunica l'ineluttabilità del dominio esercitato a tutti i livelli, dalla sfera economica all'amministrazione pubblica e statale. La donna dominata e umiliata sui teleschermi è l'immagine stessa della società, non solo delle classi oppresse, ma anche della borghesia rampante, sempre pronta all'obbedienza e alla sottomissione per potersi un giorno farsi obbedire; una società che ricerca e brama il dominio che subisce perché lo ha interiorizzato, lo ha accettato, lo ha, socialmente e psicologicamente, giustificato.

1 commento:

  1. Tutto bene, io lo dico da un pezzo, ma faccio presente che l'avvocato di B. si chiama NICCOLO' e non Christian (come lo sportivo). Un saluto.
    Daniela

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