domenica 21 giugno 2009

Contro il referendum fascista


Il referendum che si tiene oggi e domani propone di modificare la legge elettorale attualmente in vigore. Quest'ultima prevede un sistema proporzionale con un premio di maggioranza per la coalizione che ha ottenuto più voti.
Se vincessero i sì la legge verrebbe cambiata e il premio di maggioranza anziché alla coalizione verrebbe assegnato alla lista con più voti.
Questo è un sistema illegittimo e anti-democratico per tutta una serie di ragioni:




  1. Essendo il premio di maggioranza assegnato alla lista e non più alla colazione, un partito senza avere la maggioranza assoluta potrebbe ottenere il 55% dei seggi. Cioè se il partito più grande ottenesse il 35% dei voti, non otterrebbe il 35% dei seggi, come prevede l'attuale legge (più, ovviamente, il premio di maggioranza, se la sua coalizione vincesse, ripartito tra tutti i partiti della coalizione) ma la maggioranza assoluta. È come se il 20% dei voti fosse trasferito dalle altre liste a quella maggiore.
    Questo significa che a governare sarebbe una minoranza, per la prima volta dal dopoguerra ad oggi.


  2. Il sistema che ne verrebbe fuori rischierebbe fortemente di non rappresentare gli effettivi rapporti di forza: infatti basterebbe che un partito ottenesse la maggioranza relativa, superando anche di pochi voti il rivale più competitivo, che scatterebbe la regola che gli permetterebbe di conquistare il 55% dei seggi. Se ad esempio il primo partito ottenesse il 35% e il secondo il 34, con un divario così piccolo, il primo otterrebbe la maggioranza assoluta, prendendo il 21% di seggi in più del suo avversario, pur avendo preso appena l'1% in più di voti.


  3. Poiché è la lista singola che può governare, senza rendere possibili coalizioni, sarebbero favoriti i due partiti più grandi, cioè gli unici che di fatto possono aspirare al premio di maggioranza. Al contrario gli altri verrebbero penalizzati. Se si considera infatti che il 55% dei seggi spetterebbe di diritto ad un solo partito, resterebbe un 45% di seggi da ripartire tra tutte le altre forze d'opposizione. Di questo 45%, si può pensare, stando ai risultati delle ultime elezioni europee, che un 26% andrebbe al primo partito d'opposizione. Alle altre liste toccherebbe spartirsi il rimanente misero 19. Se si considera che esiste una soglia di sbarramento al 4% ne risulta che le opposizioni sarebbero fortemente penalizzate.


  4. È ipotizzabile che l'effetto politico di questo referendum, se avesse successo, sarebbe quello di rafforzare, anche in termini di voti, i due partiti maggiori. Gli elettori infatti tenderebbero a far convergere il loro voto sui due partiti, l'uno di centrodestra l'altro di centrosinistra, che avrebbero maggiori possibilità di raggiungere il premio di maggioranza, essendo tutti gli altri, di fatto, tagliati fuori. Il sistema quindi tenderebbe a diventare bipartitico, ma non per una preferenza degli elettori, bensì come conseguenza politica, non voluta dall'elettorato, del metodo di assegnazione dei seggi.


  5. Per sperare di raggiungere il premio di maggioranza, superando l'avversario anche solo di una manciata di voti, che consentirebbe di avere comunque una maggioranza stabile, tutti i partiti avrebbero l'interesse ad unirsi in due sole liste contrapposte. In questo modo potrebbero evitare, da un lato le liste minori, di essere esautorate, dall'altro consentirebbe a quelle maggiori di aspirare alla vittoria e anche in caso di sconfitta di ottenere comunque il 45% dei seggi come opposizione.
    Questo spingerebbe tutti a creare due listoni, disomogenei e senza alcuna coerenza interna. Non solo, ma questo permetterebbe anche a partiti che ora non superano la soglia di sbarramento, di rientrare, di fatto, anche se sotto un altro simbolo, in parlamento. In altre parole ci sarebbero tanti partiti confusi all'interno di due soli gruppi parlamentari.


  6. Se si considerano le elezioni europee come riferimento cronologicamente più attendibile per valutare i rapporti di forza, se vincessero i sì, si creerebbe una situazione del tutto anomala, nella storia dell'Italia repubblicana. Infatti il Pdl, otterrebbe il 55% dei seggi, per il meccanismo del premio di maggioranza. La Lega il 10. Ovvero l'attuale maggioranza di governo avrebbe in totale il 65% dei seggi, poco meno dei due terzi, monopolizzando così l'assemblea, pur rappresentando meno del 50% dei votanti. Se si considera anche che i due terzi sono il quorum necessario in parlamento per cambiare la Costituzione, ci si può rendere conto facilmente che una sola parte politica, e per giunta una minoranza, avrebbe il potere e la facoltà di cambiare la Carta Costituzionale, le regole fondanti del nostro Paese.
    Nel 1923 la legge Acerbo assegnava alla lista maggiore il 66% dei seggi. Il listone a cui, oltre ai fascisti, aderivano liberali e popolari, ottenne questa amplissima maggioranza. Da questo avvenimento cominciò l'ascesa del fascismo e la deriva autoritaria dello stato.
    Quella promossa dal referendum è una legge simile, che così stando le cose, assegnerebbe il 65% dei seggi alla attuale maggioranza di governo, solo l'1% in meno della Legge Acerbo. Ma in teoria potrebbero anche essere di più se i partiti alleati con quello maggiore (in questo caso la Lega) ottenessero un risultato nel complesso superiore all'11%.
    In altre parole ci sarebbero tutte le premesse istituzionali per una dittatura vera e propria.

Ma perché allora i referendari sostengono questa proposta? Le loro argomentazioni prendono le mosse dall'intento di assicurare alcuni obiettivi. Essi sono: la stabilità della maggioranza di governo; l'eliminazione della frammentazione dei partiti; Il maggior controllo dell'elettore sui propri candidati.




  1. Per quanto riguarda il primo punto, il tentativo di assicurare maggioranze stabili, c'è da dire che la proposta dei referendari arriva in ritardo. Nata in un momento politico di un governo traballante, giunge agli elettori in un momento in cui c'è un governo saldamente al potere, con una maggioranza solida, addirittura fin troppo solida. Dunque si può dire che questa esigenza sia ormai superata, e che semmai se nei crei una opposta: quella di limitare il potere dei governi ed evitare che questi prendano il sopravvento sul parlamento. Con la proposta referendaria la maggioranza ne uscirebbe ancor più rafforzata, abolendo di fatto la possibilità per il parlamento di sfiduciare il governo (dovrebbero dare il voto negativo il 15% dei parlamentari di maggioranza più tutta l'opposizione!) e venendo a mancare uno degli assi portanti dell'ordinamento costituzionale delle istituzioni.


  2. La frammentazione dei partiti che si dice di voler contrastare, in realtà è già stata eliminata dalla legge in vigore. Attualmente siedono in parlamento solo 5 gruppi parlamentari, un caso unico nella storia politica italiana (salvo durante il fascismo) come in Germania, meno che in Olanda e in Francia. Peraltro è abbastanza originale pensare di contrastare la frammentazione con un premio di maggioranza. Semmai lo si può fare con uno sbarramento, che è quanto ha fatto l'attuale legge elettorale, pur con tutti i suoi enormi limiti e con le sue palesi incongruità.


  3. I referendari dicono di voler limitare il controllo dei partiti e delle dirigenze politiche sui candidati e aumentare quello degli elettori. Eppure non c'è in nessuno dei tre quesiti la possibilità di reintrodurre l'unica cosa che avrebbe dato questo potere ai cittadini: la preferenza. L'unico modo per assicurare un rapporto chiaro tra elettori ed eletti è permettere agli elettori di scegliere il proprio candidato. L'attuale legge elettorale invece non lo consente, lasciando ai votanti la sola possibilità di scegliere la lista.
    Invece il referendum propone di eliminare le candidature multiple, cioè la possibilità per uno stesso candidato di presentarsi in più collegi. Che è un modo decisamente singolare per restituire al popolo la sua sovranità: se due votanti di diversi collegi volessero votare per lo stesso candidato, non si capisce perché non potrebbero farlo. Certo, perché ciò avvenisse dovrebbero potere esprimere almeno una preferenza.

Da quanto detto dovrebbe essere ormai chiaro che la proposta referendaria non solo non è in grado di raggiungere nessuno degli obiettivi dichiarati, ma genera degli effetti nefasti e persino fatali per le istituzioni democratiche, riducendo l'opposizione a un ruolo marginale, permettendo a una minoranza di governare e spianando la strada, se la storia non mente, a una dittatura.
Perché il referendum sia valido è necessario che votino almeno il 50% degli aventi diritto. Perciò è importante astenersi, per far fallire questa proposta sciagurata. Andando a votare invece, anche se si votasse no, si contribuirebbe al raggiungimento del quorum, favorendo la potenziale vittoria dei sì, sostenuti dai due partiti maggiori. Poiché l'affluenza dovrebbe essere in calo rispetto alle precedenti elezioni amministrative, è opportuno favorire questa tendenza e sbarrare la strada alla deriva fascistoide.
La legge ora in vigore è certo un pessima legge, ma sicuramente migliore di quella che verrebbe fuori da una vittoria dei referendari. Questo è un altro motivo per astenersi: votare sì significa firmare la condanna a morte per la già compromessa democrazia italiana. Votare no significa affermare che la legge vigente va bene così com'è, e neanche questo è utile. L'unica strada è l'astensione, per dichiarare la propria contrarietà ad entrambe, ma dando la precedenza al “male minore” ed escludendo l'eventualità di una riproposizione della legge Acerbo.

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