Dopo la vittoria di Ahmadinejad e la sconfitta del “riformista” Moussavi, il governo americano, assieme all'Europa, si è scatenato in una forte campagna di delegittimazione del voto iraniano.
Questa campagna è stata diffusa dai media occidentali, che hanno avallato l'idea dei brogli contro Moussavi. L'opposizione è scesa in piazza per protestare contro queste presunte irregolarità, e le televisioni in Occidente vi hanno dato ampio risalto.
Tutti sembrano assolutamente convinti che le elezioni iraniane non si siano svolte in modo regolare.
Eppure dei sondaggisti americani avevano prima del voto realizzato un sondaggio che vedeva Ahmadinejad in netto vantaggio sull'avversario (ANSA).
Del resto l'ampia maggioranza della popolazione iraniana aveva già in precedenza manifestato il suo appoggio per l'attuale presidente. La maggior parte degli iraniani vive in una condizione di povertà, non ha accesso all'istruzione e alle cure sanitarie. In questo contesto Ahmadinejad è stato l'unico tra i leader politici ad essersi interessato alle condizioni delle classi povere. Ha sostenuto una politica di redistribuzione e ha nazionalizzato le risorse energetiche. È normale che questo non piaccia a Washington, che sul petrolio iraniano ha sempre fatto grandi affari. È normale che questo non piaccia ai ceti agiati e alla ricca borghesia, sempre favorita in passato dalle politiche fiscali.
Sono soprattutto i ceti colti e benestanti ad appoggiare Moussavi. Sono loro ad essere scesi in piazza e a manifestare per le libertà civili. Dunque una minoranza. Ed è ovvio che sia così, perché la parte povera della popolazione non ha certo il tempo per pensare ai grandi ideali, mentre il problema principale è spesso la sopravvivenza.
Ahmadinejad ha portato avanti una politica di indipendenza dalle grandi potenze. Questo, Usa e Europa non glielo hanno perdonato. Hanno usato la questione del nucleare iraniano per imporre sanzioni a un popolo già provato, e che tenta ora faticosamente di scrollarsi di dosso il neocolonialismo occidentale. Ma di fronte a questa legittima esigenza i grandi difensori delle libertà civili sembrano sordi. Perché l'Iran dovrebbe essere privato del nucleare, mentre Israele, un paese che ha più volte manifestato la sua pericolosità militare e il suo furore bellico (ai danni dei palestinesi) molto più dell'Iran, può ampiamente disporne? Forse perché il miglior alleato degli Stati Uniti rischierebbe di perdere la supremazia geopolitica nel Medioriente?
È vero, Ahmadinejad usa dei metodi repressivi e una politica autoritaria spesso non rispettosa dei diritti umani. Ma dov'erano questi paladini della libertà quando erano gli Stati Uniti a rovesciare il governo democratico di Mossadeq per insediare quello autoritario dello Shah di Persia? Dov'erano quando foraggiavano un dittatore tra i più sanguinari, Saddam Hussein, ben peggiore di Ahmadinejad (il quale almeno è stato eletto) per opporsi alla rivoluzione iraniana?
Le accuse che si rivolgono ora ad Ahmadinejad, certo non potevano valere per Mossadeq, il quale passò tutto il resto della sua vita agli arresti, senza che nessun ardente paladino dei diritti umani muovesse un dito. La questione dei diritti civili e della democrazia per gli occidentali è in realtà solo un pretesto per far valere i propri interessi egemonici in Medioriente. Come allora rovesciarono Mossadeq che aveva nazionalizzato le risorse petrolifere, con l'appoggio della ricca borghesia che aveva visto con fastidio la redistribuzione del reddito, così oggi cercano di fare la stessa cosa con Ahmadinejad.
Il colmo è che per farlo non si servono di un politico integerrimo, ma di un arrugginito Moussavi, già Primo Ministro, che non può certo vantare nei suoi anni di governo una condotta irreprensibile. Egli infatti è stato coinvolto nello scandalo Iran-Contras nell'86, in cui gli americani vendettero armi all'Iran (proprio a uno stato oggi definito “canaglia”) per finanziare il colpo di stato contro la rivoluzione sandinista in Nicaragua. Questo è Moussavi, il difensore dei diritti civili, il grande idealista.
I presunti brogli sono solo un pretesto per cercare di rovesciare un presidente democraticamente eletto, piaccia o non piaccia.
I media dalle nostre parti hanno parlato di una “rivoluzione” che sarebbe in atto in Iran. Ma di quale rivoluzione parlano? Una rivoluzione non si fa senza il popolo e il popolo sta dalla parte di Ahmadinejad, o quanto meno certo non da quella di Moussavi. Quest'ultimo è appoggiato solo da una minoranza ricca e privilegiata. È sostenuto dalla CIA, che vuole conservare il dominio americano in quell'area geografica.
Mettiamoci bene in testa una cosa. I governi, soprattutto a livello internazionale, non agiscono per “esportare la democrazia”, o per qualche nobile ideale, il quale è semmai solo una copertura. La vera ragione del loro intervento è quella di preservare interessi economici e geopolitici. Gli Usa e l'Europa non cercano di difendere dei principi umanitari con un improbabile candidato, ma di perpetuare una politica imperialista, in continuità con quanto hanno fatto in passato. Non illudiamoci. Tra Bush e Obama su questo terreno c'è ben poca differenza. Molti dei più stretti collaboratori dell'attuale presidente americano sono gli stessi che fecero parte del governo Clinton. Il Segretario di Stato è Hillary Clinton, che ha suo tempo votò a favore della guerra in Iraq. Obama è stato il candidato che ha ottenuto i più cospicui finanziamenti da parte delle multinazionali.
Non sono certo gli Stati Uniti, la Nato e un'Europa succube dell'atlantismo incondizionato a diffondere la libertà nel mondo.
Può farlo invece soltanto la lotta dei popoli oppressi contro l'imperialismo occidentale, una lotta che vede il popolo iraniano in prima fila.
Questa campagna è stata diffusa dai media occidentali, che hanno avallato l'idea dei brogli contro Moussavi. L'opposizione è scesa in piazza per protestare contro queste presunte irregolarità, e le televisioni in Occidente vi hanno dato ampio risalto.
Tutti sembrano assolutamente convinti che le elezioni iraniane non si siano svolte in modo regolare.
Eppure dei sondaggisti americani avevano prima del voto realizzato un sondaggio che vedeva Ahmadinejad in netto vantaggio sull'avversario (ANSA).
Del resto l'ampia maggioranza della popolazione iraniana aveva già in precedenza manifestato il suo appoggio per l'attuale presidente. La maggior parte degli iraniani vive in una condizione di povertà, non ha accesso all'istruzione e alle cure sanitarie. In questo contesto Ahmadinejad è stato l'unico tra i leader politici ad essersi interessato alle condizioni delle classi povere. Ha sostenuto una politica di redistribuzione e ha nazionalizzato le risorse energetiche. È normale che questo non piaccia a Washington, che sul petrolio iraniano ha sempre fatto grandi affari. È normale che questo non piaccia ai ceti agiati e alla ricca borghesia, sempre favorita in passato dalle politiche fiscali.
Sono soprattutto i ceti colti e benestanti ad appoggiare Moussavi. Sono loro ad essere scesi in piazza e a manifestare per le libertà civili. Dunque una minoranza. Ed è ovvio che sia così, perché la parte povera della popolazione non ha certo il tempo per pensare ai grandi ideali, mentre il problema principale è spesso la sopravvivenza.
Ahmadinejad ha portato avanti una politica di indipendenza dalle grandi potenze. Questo, Usa e Europa non glielo hanno perdonato. Hanno usato la questione del nucleare iraniano per imporre sanzioni a un popolo già provato, e che tenta ora faticosamente di scrollarsi di dosso il neocolonialismo occidentale. Ma di fronte a questa legittima esigenza i grandi difensori delle libertà civili sembrano sordi. Perché l'Iran dovrebbe essere privato del nucleare, mentre Israele, un paese che ha più volte manifestato la sua pericolosità militare e il suo furore bellico (ai danni dei palestinesi) molto più dell'Iran, può ampiamente disporne? Forse perché il miglior alleato degli Stati Uniti rischierebbe di perdere la supremazia geopolitica nel Medioriente?
È vero, Ahmadinejad usa dei metodi repressivi e una politica autoritaria spesso non rispettosa dei diritti umani. Ma dov'erano questi paladini della libertà quando erano gli Stati Uniti a rovesciare il governo democratico di Mossadeq per insediare quello autoritario dello Shah di Persia? Dov'erano quando foraggiavano un dittatore tra i più sanguinari, Saddam Hussein, ben peggiore di Ahmadinejad (il quale almeno è stato eletto) per opporsi alla rivoluzione iraniana?
Le accuse che si rivolgono ora ad Ahmadinejad, certo non potevano valere per Mossadeq, il quale passò tutto il resto della sua vita agli arresti, senza che nessun ardente paladino dei diritti umani muovesse un dito. La questione dei diritti civili e della democrazia per gli occidentali è in realtà solo un pretesto per far valere i propri interessi egemonici in Medioriente. Come allora rovesciarono Mossadeq che aveva nazionalizzato le risorse petrolifere, con l'appoggio della ricca borghesia che aveva visto con fastidio la redistribuzione del reddito, così oggi cercano di fare la stessa cosa con Ahmadinejad.
Il colmo è che per farlo non si servono di un politico integerrimo, ma di un arrugginito Moussavi, già Primo Ministro, che non può certo vantare nei suoi anni di governo una condotta irreprensibile. Egli infatti è stato coinvolto nello scandalo Iran-Contras nell'86, in cui gli americani vendettero armi all'Iran (proprio a uno stato oggi definito “canaglia”) per finanziare il colpo di stato contro la rivoluzione sandinista in Nicaragua. Questo è Moussavi, il difensore dei diritti civili, il grande idealista.
I presunti brogli sono solo un pretesto per cercare di rovesciare un presidente democraticamente eletto, piaccia o non piaccia.
I media dalle nostre parti hanno parlato di una “rivoluzione” che sarebbe in atto in Iran. Ma di quale rivoluzione parlano? Una rivoluzione non si fa senza il popolo e il popolo sta dalla parte di Ahmadinejad, o quanto meno certo non da quella di Moussavi. Quest'ultimo è appoggiato solo da una minoranza ricca e privilegiata. È sostenuto dalla CIA, che vuole conservare il dominio americano in quell'area geografica.
Mettiamoci bene in testa una cosa. I governi, soprattutto a livello internazionale, non agiscono per “esportare la democrazia”, o per qualche nobile ideale, il quale è semmai solo una copertura. La vera ragione del loro intervento è quella di preservare interessi economici e geopolitici. Gli Usa e l'Europa non cercano di difendere dei principi umanitari con un improbabile candidato, ma di perpetuare una politica imperialista, in continuità con quanto hanno fatto in passato. Non illudiamoci. Tra Bush e Obama su questo terreno c'è ben poca differenza. Molti dei più stretti collaboratori dell'attuale presidente americano sono gli stessi che fecero parte del governo Clinton. Il Segretario di Stato è Hillary Clinton, che ha suo tempo votò a favore della guerra in Iraq. Obama è stato il candidato che ha ottenuto i più cospicui finanziamenti da parte delle multinazionali.
Non sono certo gli Stati Uniti, la Nato e un'Europa succube dell'atlantismo incondizionato a diffondere la libertà nel mondo.
Può farlo invece soltanto la lotta dei popoli oppressi contro l'imperialismo occidentale, una lotta che vede il popolo iraniano in prima fila.
Scritto ben chiaramente. Bravo!
RispondiEliminaLa tua analisi geopolitica mi sembra ineccepibile, ma sostanzialmente perché io la penso allo stesso modo.
RispondiEliminaChi invece la pensasse in modo diverso (penso ad berlusconiano, ad un leghista o un qualsiasi elettore dell'area moderata), racconterebbe una storia ben diversa.
Quando la politica si fa per partito preso, tutti hanno ragione, ma poiché ognuno afferma verità contrastanti, è evidente che le alternative possibili sono due:
- o uno solo racconta la verità e tutti gli altri mentono;
- oppure mentono tutti.
In pratica, considerati uno per uno, dieci esponenti di partito che raccontano un evento in dieci modi diversi, è più probabile che mentano.
Ma perché mentono? Perché fanno discorsi di parte e perché è pressoché impossibile disporre di tutte le informazioni necessarie per raccontare la verità dei fatti.
Ciascuno usa le informazioni che gli fanno comodo per portare acqua al proprio mulino e nessuno vuole guardare ai fatti con occhio distaccato.
L'esito è scontato: muro contro muro, cultura contro cultura, recinto contro recinto. Dentro i buoni, fuori i cattivi. L'un contro l'altro armato. È il clima propizio all'ostilità pregiudiziale, all'odio, all'intolleranza e alla guerra.
Contro questa cultura guerrafondaia propongo:
1. Togliere i mezzi di informazione di massa ai proprietari privati e darli ai cittadini comuni e alle istituzioni pubbliche.
2. Dare potere ai comuni e alle assemblee comunali e abolire i partiti.
3. Educare i cittadini a deliberare su tutte le questioni di pubblico interesse, senza pretendere di essere ciascuno l'unico detentore della verità, ma rispettandosi reciprocamente e elaborando soluzioni di compromesso.
Didì.
RispondiEliminaA mio modo di vedere le cause della menzogna sono diverse. Non è il fatto di avere una concezione "di parte" (tutti ce l'abbiamo, anche tu ed io) che induce a dire menzogne, ma l'interesse di dominio. Gli Stati Uniti mentono sul Medioriente perché sono interessati a mantenerlo come propria colonia. Contro questi interessi della classe dominante bisogna lottare, se non si vuole rimanere schiacciati, volenti o nolenti.
Quanto ai punti che hai elencato sono d'accordo sul primo e sul terzo, ma non sul secondo. I partiti sono indispensabili nella mediazione del dibattito. Abolirli significa consegnare le istituzioni nelle mani dei poteri economici, che è quanto sta avvenendo. Da quando si sono indeboliti i partiti si sono rafforzate le lobby e la loro influenza sulla politica e si sono indeboliti i cittadini e in sostanza la democrazia.
ottimo post. Dovrebbero lasciare davvero in pace l'Iran
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