Il capo di governo israeliano Benjamin Netanyahu ha detto di essere disposto a sostenere la costituzione di uno stato palestinese. E questo fatto è stato salutato come “un grosso passo in avanti” (secondo le parole di Obama) da tutti i governi e dalla stampa occidentali.
Tuttavia questa apparente apertura israeliana è concessa solo a patto di durissime condizioni da imporre ai palestinesi. Prima fra tutte la demilitarizzazione totale del futuro stato di Palestina. Una condizione davvero improponibile che ha fatto protestare il presidente egiziano Mubarak il quale ha dichiarato che questa proposta “farà abortire tutte le possibilità di pace”.
Anche da parte palestinese naturalmente c'è una totale contrarietà, e nonostante questo in Occidente si cantano le lodi di questa “apertura” da parte israeliana come una possibile soluzione del conflitto.
In realtà la situazione è ben diversa. Israele ha perseguito in tutti questi anni una politica di occupazione e di colonizzazione a danno del popolo palestinese. Anche quando si sono ritirate (unilateralmente) le colonie israeliane si sono però chiuse le frontiere, “intrappolando” così i civili palestinesi. Un embargo durissimo è stato imposto a Gaza, costringendo il sistema economico e sociale palestinese al collasso durante il periodo dei bombardamenti israeliani.
Adesso Netanyahu parla di uno stato palestinese smilitarizzato, dimenticando di dire che finora Israele ha continuato progressivamente ad armarsi e a far aumentare la spesa militare, per continuare bombardamenti e azioni militari che violavano trattati internazionali e risoluzioni ONU.
Nessuno ha mai proposto un disarmo di Israele, che pure è quello che più si è avvalso e ha goduto di una politica di riarmo, non solo nei confronti dei palestinesi (si veda il conflitto in Libano). Eppure, in una situazione di così forte superiorità geo-politica e militare (l'alleanza con gli Stati Uniti e con l'Europa), oltre che economica (tutte le forniture energetiche nel territorio palestinese provengono da Israele) adesso si vuole imporre anche uno stato disarmato, e quindi uno stato debole, per continuare così (questa volta sotto l'avallo della comunità internazionale) a fare quello che si è sempre fatto. Il governo di Israele si è limitato poi ad escludere il congelamento degli insediamenti. La questione delle colonie rimane quindi immutata.
In queste condizioni è ovvio che un eventuale stato palestinese sarebbe di fatto senza poteri, ma gli israeliani avrebbero il pretesto per giustificare le loro politiche espansionistiche.
Questa presunta moderazione del governo Netanyahu è solo una facciata. In realtà il partito del Likud attualmente al potere si dichiara contrario, nel proprio statuto, ad uno stato palestinese. I media occidentali hanno continuato a dare risalto al mancato riconoscimento di Israele da parte di Hamas. Senza dire che il principale partito della destra israeliana, adesso, come già in passato, al potere, è sempre stato contrario ad uno stato palestinese. Era solo Hamas a passare per “estremista”.
Senza contare poi che in posti importanti siedono personaggi legati ad ambianti chiaramente estremisti per non dire eversivi, come è il caso del Ministro degli Esteri filo-nazista Lieberman, che proponeva prima delle elezioni la deportazione i civili palestinesi.
Come possono personaggi di questo tipo, che hanno sempre soffiato sui venti di guerra, diventare tutto a un tratto moderati e interessati alla pace è un mistero che solo alla Casa Bianca e all'Europa è dato di comprendere.
Ma se si guarda la questione da un'ottica diversa si vede che quella israeliana più che una proposta ragionevole è in realtà un'operazione di “restailing”, di immagine, per portare dalla propria parte l'opinione pubblica internazionale. Dichiarandosi a favore di uno stato palestinese Netanyahu apparirà come disponibile ad aprire alle trattative e al processo di pace e i quotindiani potranno titolare “Sì ad uno stato palestinese” accanto al nome del Primo Ministro ebraico, come fa il Corriere della Sera. I palestinesi, che non possono fare altro che respingere questa proposta, invece saranno i soliti estremisti, quelli che non vogliono la pace. Ma quello che i quotidiani non dicono è la solita postilla a margine del contratto, che di fatto esautora l'eventuale stato palestinese da ogni potere. “Sì ad uno stato palestinese” è quindi la sintesi corretta “purché sia debole ed espropriato delle sue funzioni”.
Quindi non facciamoci ingannare da questo gioco di specchi orchestrato dal governo israeliano con l'avallo, come al solito, degli Usa e dell'Europa, e naturalmente anche dell'Italia. È in realtà un tentativo per mettere all'angolo sia Hamas che Fatah e spostare il sostegno della comunità internazionale tutto dalla propria parte per continuare a perpetrare quella politica colonialistica che finora non si è mai fermata.
Tuttavia questa apparente apertura israeliana è concessa solo a patto di durissime condizioni da imporre ai palestinesi. Prima fra tutte la demilitarizzazione totale del futuro stato di Palestina. Una condizione davvero improponibile che ha fatto protestare il presidente egiziano Mubarak il quale ha dichiarato che questa proposta “farà abortire tutte le possibilità di pace”.
Anche da parte palestinese naturalmente c'è una totale contrarietà, e nonostante questo in Occidente si cantano le lodi di questa “apertura” da parte israeliana come una possibile soluzione del conflitto.
In realtà la situazione è ben diversa. Israele ha perseguito in tutti questi anni una politica di occupazione e di colonizzazione a danno del popolo palestinese. Anche quando si sono ritirate (unilateralmente) le colonie israeliane si sono però chiuse le frontiere, “intrappolando” così i civili palestinesi. Un embargo durissimo è stato imposto a Gaza, costringendo il sistema economico e sociale palestinese al collasso durante il periodo dei bombardamenti israeliani.
Adesso Netanyahu parla di uno stato palestinese smilitarizzato, dimenticando di dire che finora Israele ha continuato progressivamente ad armarsi e a far aumentare la spesa militare, per continuare bombardamenti e azioni militari che violavano trattati internazionali e risoluzioni ONU.
Nessuno ha mai proposto un disarmo di Israele, che pure è quello che più si è avvalso e ha goduto di una politica di riarmo, non solo nei confronti dei palestinesi (si veda il conflitto in Libano). Eppure, in una situazione di così forte superiorità geo-politica e militare (l'alleanza con gli Stati Uniti e con l'Europa), oltre che economica (tutte le forniture energetiche nel territorio palestinese provengono da Israele) adesso si vuole imporre anche uno stato disarmato, e quindi uno stato debole, per continuare così (questa volta sotto l'avallo della comunità internazionale) a fare quello che si è sempre fatto. Il governo di Israele si è limitato poi ad escludere il congelamento degli insediamenti. La questione delle colonie rimane quindi immutata.
In queste condizioni è ovvio che un eventuale stato palestinese sarebbe di fatto senza poteri, ma gli israeliani avrebbero il pretesto per giustificare le loro politiche espansionistiche.
Questa presunta moderazione del governo Netanyahu è solo una facciata. In realtà il partito del Likud attualmente al potere si dichiara contrario, nel proprio statuto, ad uno stato palestinese. I media occidentali hanno continuato a dare risalto al mancato riconoscimento di Israele da parte di Hamas. Senza dire che il principale partito della destra israeliana, adesso, come già in passato, al potere, è sempre stato contrario ad uno stato palestinese. Era solo Hamas a passare per “estremista”.
Senza contare poi che in posti importanti siedono personaggi legati ad ambianti chiaramente estremisti per non dire eversivi, come è il caso del Ministro degli Esteri filo-nazista Lieberman, che proponeva prima delle elezioni la deportazione i civili palestinesi.
Come possono personaggi di questo tipo, che hanno sempre soffiato sui venti di guerra, diventare tutto a un tratto moderati e interessati alla pace è un mistero che solo alla Casa Bianca e all'Europa è dato di comprendere.
Ma se si guarda la questione da un'ottica diversa si vede che quella israeliana più che una proposta ragionevole è in realtà un'operazione di “restailing”, di immagine, per portare dalla propria parte l'opinione pubblica internazionale. Dichiarandosi a favore di uno stato palestinese Netanyahu apparirà come disponibile ad aprire alle trattative e al processo di pace e i quotindiani potranno titolare “Sì ad uno stato palestinese” accanto al nome del Primo Ministro ebraico, come fa il Corriere della Sera. I palestinesi, che non possono fare altro che respingere questa proposta, invece saranno i soliti estremisti, quelli che non vogliono la pace. Ma quello che i quotidiani non dicono è la solita postilla a margine del contratto, che di fatto esautora l'eventuale stato palestinese da ogni potere. “Sì ad uno stato palestinese” è quindi la sintesi corretta “purché sia debole ed espropriato delle sue funzioni”.
Quindi non facciamoci ingannare da questo gioco di specchi orchestrato dal governo israeliano con l'avallo, come al solito, degli Usa e dell'Europa, e naturalmente anche dell'Italia. È in realtà un tentativo per mettere all'angolo sia Hamas che Fatah e spostare il sostegno della comunità internazionale tutto dalla propria parte per continuare a perpetrare quella politica colonialistica che finora non si è mai fermata.
(v. Corriere della Sera)
61 anni di guerra di occupazione, bombardamenti sulle case dei civili, cecchini che sparano sui bambini, sottrazione delle terre... e ci si ostina a definire Israele l'unica democrazia del Medioriente.
RispondiEliminaAlla faccia della democrazia...
RispondiEliminaIsraele è uno stato terrorista.