Dovrebbe essere una verità acclarata da millenni di esperienza, un'ovvietà persino, eppure nell'era della tecnica e della conoscenza scientifica non è così.
Perciò capita ancora di imbattersi in qualcuno che si stupisce una volta sperimentata questa elementare verità. Non riesce a capacitarsene, quasi che si tratti di un evento imprevedibile, qualcosa al di fuori della comprensibilità umana.
Eppure è facile. In guerra le persone si ammazzano. Quindi chi va in guerra mette a repentaglio la sua vita. Non è escluso che possa morire.
Non si tratta di una scoperta recente. Già i neandertaliani che si combattevano con le clave, molto più saggiamente dei TurboSapiens 2000 che si sterminano con le armi nucleari, avevano appreso questo fondamentale fenomeno, sebbene le loro armi fossero molto meno potenti delle nostre.
In epoche passate, e ancora oggi a dirla tutta, la guerra era vista come un'epopea romantica, un'affascinante impresa fatta da eroi, battaglie leggendarie condotte da comandanti geniali serviti da soldati intrepidi, qualcosa di lindo e pulito, dove anche il sangue è bello e tragico quando scorre dalle vene. Niente a che fare con l'incompetenza dei generali, il terrore dei soldati mandati al macello, la carneficina dei corpi mozzati, il puzzo insopportabile della putrefazione dei cadaveri, l'orrore della carne smembrata e bruciata, niente a che fare con la guerra vera. Questa immagine romanzesca ha mandato a morire generazioni di giovani convinti di battersi per un ideale. E questo se andava bene, quando cioè non ci si arruolava per mangiare, o ancora peggio per costrizione.
Eppure, anche nella mistificazione, i nostri progenitori sapevano una verità essenziale e non si sarebbero mai sognati di negarla. In guerra si muore e anche parecchio e se ne fai parte la morte è una sventura che devi mettere in conto. Magari idealizzavano questa morte, immaginavano, nei libri che leggevano o scrivevano, sempre che sapessero leggere e scrivere, una morte eroica, una morte in cui il dolore della sconfitta fosse maggiore di quello per lo spappolamento degli organi interni. Una morte così, non esiste. Quando muori ammazzato, se hai il tempo di rendertene conto non te ne frega niente dell'Onore, della Vittoria e della Patria, ma pensi solo alla Pelle che stai perdendo, con tuo grande dispiacere, o peggio, al Dolore fisico che provi. Al più pensi ai tuoi familiari, ai tuoi cari, alle persone che lasci, pensi ai ricordi belli e brutti della tua vita. Questo per gli eroi. In ogni caso eroe o meno non pensi ai grandi ideali e alla difesa della Nazione.
Comunque pur se ne avevano un'idea abbastanza edulcorata, i nostri avi sapevano che la morte aspetta all'angolo il soldato.
Noi, oggi, invece, abbiamo forse un concetto meno romantico della guerra, la televisione ci mostra spesso le immagini dei suoi veri risvolti, che sia quella di Ares o di Atena, perché la guerra è sempre guerra. Ci mostra le carneficine e tutti gli orrori vari che abbiamo imparato a conoscere senza essere mai stati su un campo di battaglia. Pur tuttavia, c'è una sorta di tabù, nelle nostre società “evolute” e “democratiche”. I nostri governi fanno le guerre. Ma sono guerre giuste, a fin di bene, non per conquistare qualcuno come per i nostri progenitori, ma per fargli del bene. Ora noi dimentichiamo che anche chi ci ha preceduto diceva che si andava a far la guerra per far del bene a chi si ammazzava. E siccome la guerra è cosa buona e giusta non può fare morti, soprattutto tra coloro che sono buoni e giusti, cioè tra le nostre truppe filantrope, tra i portatori della democrazia, tra gli invasori. Costoro non possono morire. Possono morire gli altri, anche se sono civili. Quelli sono barbari, loro sono abituati, loro non danno valore alla vita. Ma noi no! Noi non possiamo morire quando andiamo a fare la guerra, noi non possiamo morire quando andiamo a portare la morte! Così c'è sempre questo stupore, questa sorta di incredulità da parte di coloro che mandano a morire o a far morire qualche ragazzo incosciente. Perché per andare in guerra devi esser o incosciente o pazzo o stronzo, non basta la scusa del lavoro che non si trova.
Due giorni fa è morto un soldato italiano in Afghanistan, Alessandro Di Lisio. Cordoglio da parte di tutti eccetera eccetera.
Tra le dichiarazioni commosse di queste “alte cariche dello Stato” (dove “carica” non sta per ruolo istituzionale, ma per carica esplosiva pronta a uccidere!) mi sovviene una che mi ha colpito in particolare. Il Presidente della Regione Molise, regione del soldato ucciso, ha dichiarato via telegramma rivolgendosi ai genitori: “Vi esprimo il più profondo cordoglio mio personale e di tutti i molisani per la prematura scomparsa del caro Alessandro.
Vostro figlio ha dato la vita per gli ideali di pace, di giustizia, di libertà e di democrazia.
Ideali immortali, come immortale sarà il suo ricordo per chi gli ha voluto bene e per chi ha avuto da lui aiuto e comprensione.
In questo triste momento, dunque, vi rappresento la vicinanza di tutto il Molise che piange insieme a voi un figlio prediletto il cui operato, al servizio dei più deboli, lo ha reso indimenticabile e meritevole di essere scritto nel grande 'libro dei giusti'” (Informamolise).
Ma che belle parole! Chissà quanto tempo il Presidente Iorio ha sottratto alla sua agenda politica per scrivere questo discorso memorabile!
Naturalmente prima di mandarlo ai genitori questo telegramma lo ha spedito alla stampa. L'informazione prima di tutto!
Ora, Iorio è uno di quelli che pensa, o che dice di pensare, che la guerra si fa per “gli ideali di pace, di giustizia, di libertà e di democrazia” e compagnia bella? Io credo di no. Perché non siamo più nell'800. Oggi la guerra non esiste più. Esistono le “missioni di pace”.
È un modo davvero singolare di rappresentare il fenomeno. Prima, la guerra era epica e la morte era eroica. Ma era guerra e morte, pur sempre. Oggi la guerra non è epica e la morte non è eroica. Ma non si chiama più guerra e morte quella che uccide. Per cui tu puoi sostenere tranquillamente quando muore un soldato che egli è stato “al servizio dei più deboli”, quasi si trattasse di una crocerossina o di un missionario. Se muore un soldato, nulla di impensabile. Ma se muore uno che era al servizio dei più deboli allora diamine! Non doveva proprio morire! Così c'è lo stupore. E tutti cadono dalle nuvole. Ma come avrà mai fatto a morire? Come è successo? Quali sono state le dinamiche reali? Ma non era lì per difendere la pace, la giustizia e la democrazia? E allora perché l'hanno ucciso? Siccome qualcosa bisogna pur rispondere quando viene fatta questa domanda allora si dice che quelli che lo hanno ucciso sono dei “terroristi”. Perché solo dei terroristi possono uccidere una crocerossina o un missionario. E allora tutti addosso ai terroristi. Che magari sono solo dei poveri contadini afghani esasperati da otto anni di occupazione e di bombe e che pace, giustizia e democrazia non sanno neanche cosa siano. E nemmeno il terrorismo.
Ma che migliaia di poveri contadini afghani possano morire per difendere la “loro” patria, questo non riusciamo a comprenderlo. Loro sono terroristi. I soldati occidentali, soprattutto quelli italiani, invece sono dei buoni samaritani. Sono lì con fucili, missili e carri armati, chissà perché, però vanno in “missione di pace”. Non possono morire. Non devono morire.
I nostri avi sognatori immaginavano il nemico dignitoso almeno quanto il proprio fronte. Il nemico valoroso andava rispettato. Egli vuole la nostra rovina, come noi la loro, però c'è modo e modo di volerla. Dopotutto anche lui difende la Patria, anche se una patria diversa.
I nemici di oggi invece sono differenti. Sono cattivi e cinici. Sono tutti terroristi. Mai che trovi dei nemici come si deve! Loro attaccano le nostre crocerossine armate al servizio dei più deboli! Così non si fa.
Perché ci si dovrebbe aspettare dal nostro nemico che non ci attacchi? Noi andiamo nel suo territorio, occupiamo i suoi spazi, massacriamo la loro popolazione e dovremmo aspettarci che se ne stiano zitti e buoni a guardare e magari dirci anche grazie? Perché? Ma la risposta è sempre la stessa: perché noi non siamo in guerra. Quindi il nemico non può difendersi. Noi possiamo ucciderlo, ma non possiamo essere uccisi.
“I morti italiani in Afghanistan sono saliti a 14” urlano gli organi di informazione. Che orrore! Che scandalo! Come si fa ad ammazzare 14 missionari? I soliti terroristi.
Ma perché nessuno dice quanti sono gli afghani ammazzati? Forse perché loro non vogliono vivere? forse perché le loro madri non si disperano? No, perché non hanno dei politici importanti che si commuovano quando qualcuno di loro muore.
Ma quanti sono? 20000? 30000? e quanti feriti? I soldati italiani feriti vengono rimandati a casa a curarsi; loro invece sono già a casa, e possono ala massimo accontentarsi di tuguri sovraffollati adattati a ospedali.
Una vita è sempre una vita. Non importa di che nazionalità. Ma è davvero così? I soldati italiani vanno a combattere per scelta. Sì, d'accordo, c'è poco lavoro, si guadagna bene, la famiglia e altre scuse quante possiamo trovarne per mettere a tacere la coscienza. Ma resta il fatto che è pur sempre una scelta. Potevi andare a fare l'operaio per romperti le ossa in fabbrica a 800 euro al mese e invece hai scelto di guadagnare sei volte tanto per andare a romperle ad altri, le ossa. E poi a natale si torna a casa a festeggiare. Una vita è sempre una vita? Siamo tutti uguali?
Gli afghani, invece, la guerra non l'hanno scelta. Se la sono trovata in casa un giorno. Si sono alzati la mattina, hanno guardato alla finestra e hanno visto che c'era la guerra: “una mattina mi son svegliato e ho trovato l'invasor”. Noi non abbiamo chiesto il loro permesso per invaderli.
I resistenti afgani, che noi chiamiamo terroristi, non hanno scelto loro di ammazzare quei 14 italiani. Se questi se ne fossero rimasti a casa non avrebbero torto loro un capello. Ma per quei 14 italiani non si può dire la stessa cosa. Siamo tutti uguali?
I bambini e le donne afgani massacrati, quelli rimasti senza una gamba, senza un braccio, senza un occhio, quelli che hanno perso la casa, che hanno perso i cari, i genitori, i figli, i fratelli, gli zii a causa della nostra “missione di pace”, tutti questi non lo hanno scelto. No. Non siamo tutti uguali.
Che la vita la perda uno che è andato a combattere chi non gli ha fatto niente in un paese straniero, per non andare a fare l'operaio, lo spazzino, il facchino, l'operatore di call center o il disoccupato, è triste, ingiusto, ma, dopotutto, comprensibile. Ma che la perda qualcuno che si è svegliato e ha trovato i carri armati nel cortile di casa, questo è qualcosa che va al di là di qualsiasi possibile comprensione.
In guerra si muore. E la guerra l'abbiamo voluta noi.
Non si può non convenire con te. Solo un'aggiunta: non è che gli afgani aspettassero noi per essere in guerra, è un luogo davvero maledetto dove le guerre sono continue. probabilmente, una esperienza di vita in condizione di pace, di assenza di conflitti armati lì proprio molti di loro non l'jhanno mai conosciuto.
RispondiEliminaun ragionamento estremo e utopistico: se non ci fossero soldati disposti ad ammazzarsi, non ci sarebbero guerre...ma sarebbe un mondo parallelo...le guerre ci saranno sempre...il mondo non evolve, non procede ne avanti, ne dietro...è nella sua essenza, sempre uguale a se stesso...cambiano solo i mezzi e le modalità con le quali ci si ammazza
RispondiEliminaVincenzo
RispondiEliminavero, ma l'Occidente ha molta responsabilità anche quando non era direttamente coinvolto. Prima ha armato i talebani consentendo loro di prendere il potere. Poi ha detto che sono dei terroristi ed è andato a combatterli con tutto ciò che ne è seguito.
Matteo
A me sembra molto più estremo il TUO di ragionamento. Non so sulla base di cosa dici che il mondo non evolve. Il mondo evolve e involve , basta studiare la storia per capirlo.
La mia poi era una provocazione. Io credo che le guerre nascano a causa della diseguale distribuzione della ricchezza.
Non è che le guerre non ci sarebbero se non ci fosse più gente che va fare il soldato, ma non ci sarebbero più guerre se la ricchezza fosse equamente distribuita e fosse eliminato lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
L'insopportabile buonismo, trasversale alla destra ed al centrosinistra vuol far credere alla gente che in guerra non si muoia e che comunque, "portiamo la pace".
RispondiEliminaE come la porti, la pace, coi carri armati?
Missione di pace è quella che prevede l'invio di medici (come fanno i cubani da decenni), infermieri, ingegneri, operai specializzati, insegnanti, antropologi...
Potrebbero chiamarla "guerra difensiva")ma sarebbe comunque un'ipocrisia perchè gli afghani (beninteso, non difendo i talebani) non ci avrebbero mai attaccato!
Tocchi poi un punto dolente e senza stupide delicatezze quando dici che chi parte volontario poteva cercarsi un lavoro.
Purtroppo, come diceva I.B. Singer in "Shosha", a molti piace andare in guerra.
Non voglio dire che certi ragazzi siano dei guerrafondai, ma certo il loro basso livello storico e socio-culturale (che al capitalismo fa comodo tenere tale) li porta a certe scelte.
Ciao.
grazie per aver cancellato il mio commento...si vede che con i gestori di questo sito proprio non si può ragionare...COMPLIMENTI
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