venerdì 9 aprile 2010

Federalismo, ovvero la morte dello Stato

Questo post probabilmente non piacerà a una certa “sinistra”. Quella sinistra che intende la politica come una faccenda personale tra essa e Berlusconi, quella sinistra che vede nel Presidente del Consiglio la ragione di tutti i mali e che pensa che tolto costui, tutti i problemi sarebbero risolti.
Quella sinistra disposta perfino ad andare a braccetto con certe “costole” sue che in verità non hanno nulla di sinistra, quella sinistra disposta ad accettare le idee del nemico, a perdere qualsiasi ideale che la contraddistingueva pur di conquistare una vittoria nominale sull'odiato tiranno. Quella sinistra che al tiranno e alla destra piace molto.
Come ho già segnalato altrove in Italia si preferisce occuparsi di questioni di nulla importanza come le escort che sono diventate improvvisamente un flagello terribile per l'Italia, peggio di una pestilenza, per dimenticarsi invece di problemi che rischiano davvero di farci ripiombare indietro ad epoche non proprio luminose.
Uno dei mali che appartengono a questa categoria, mali come sempre non solo italiani, è il federalismo, che la Lega in Italia ha reso il proprio cavallo di battaglia ma che in realtà ha una lunga tradizione di riflessione teorica e di applicazione pratica ed è sostenuto da poteri e da interessi molto forti.
Chi abbia visto l'ultima puntata di Annozero ha avuto l'ulteriore conferma di come questo modello istituzionale venga soprattutto negli ultimi anni additato come panacea di tutti i mali, capace di trasformare istituzioni burocratiche e corrotte in efficientissime macchine di governo.
Questa teoria sostenuta da eminenti intellettuali è stata fatta propria anche dal centrosinistra che fu infatti il primo a realizzare il passo iniziale verso questo pastrocchio chiamato federalismo, la famosa riforma del Titolo V della Costituzione. Poi però è arrivata la Lega che ha detto che non gli andava bene perché era ancora troppo poco. E allora via alla famosa “devolution” (che sarebbe meglio chiamare “involution”, vedremo poi perché). Dal federalismo istituzionale adesso si dovrà passare a quello fiscale. Le regioni non solo dovrebbero essere libere di gestire come vogliono l'area geografica di propria competenza, ma addirittura di gestire le entrate fiscali, di comportarsi, insomma, come veri e propri stati indipendenti legati alla “madrepatria” da un vincolo di obbedienza abbastanza flebile. Basta prendere l'esempio del rapporto tra il Galles o la Scozia e la Corona inglese, per averne un'idea.
Quindi abbiamo due correnti, una che dice “federalismo o morte” e un'altra che dice “federalismo, sì, ma in modo cauto, senza fare accorgere gli italiani di quello che stiamo facendo”.
Probabilmente molti se lo sono scordato, ma un tempo il centrosinistra era contrario al federalismo fiscale. Adesso ha finito per accettare pure quello, come sempre avviene in questi casi, si fanno delle concessioni e poi si finisce per cedere su tutta la linea. A parte i diversi toni usati, tra centrodestra e centrosinistra non esistono differenze di rilievo riguardo al federalismo.
I federalisti vogliono ampi poteri per gli enti locali, Regioni, ma anche Province e Comuni, attraverso uno svuotamento del ruolo dello Stato. Gli enti locali diventerebbero i veri responsabili delle materie più importanti, come lo sono ora dal punto di vista amministrativo, lo diventeranno tra poco anche da quello fiscale. Essi sostengono che la gestione decentralizzata di un territorio risulterebbe più efficiente, ci sarebbero cioè meno sprechi e una maggiore qualità dei servizi offerti.
Il professor Ricolfi ad esempio, da Santoro, sosteneva che il federalismo porterebbe una riduzione dell'evasione fiscale.
Non viene spiegata concretamente questa tesi. Si dice che le regioni potrebbero esercitare un maggior controllo. Ma si rimane sul vago, sul principio astratto, senza scendere nei particolari. Ora io penso che si confondano due principi: la capillarizzazione delle istituzioni, la loro diffusione sul territorio, e la loro frammentazione.
Uno stato centralizzato è in grado di diffondere sul territorio l'esercizio delle proprie funzioni. Una forma di questa diffusione sono appunto gli enti locali. Semplicemente, in uno stata centralizzato gli enti locali esercitano le loro funzioni per conto dello Stato, della Nazione, del popolo italiano o come si vuole chiamarlo, mentre secondo la teoria federalista, questa funzione la eserciterebbero per conto loro. Ma non è che in un caso quella funzione è presente e nell'altro è assente. È presente in entrambi i casi. Semplicemente è dipendente da soggetti diversi. La diffusione e la capillarizzazione sul territorio è possibile anche se svolta da uno stato centralizzato. Anzi, si può dire che è questo il concetto moderno di stato. Uno stato è un'entità politica composta da suddivisioni territoriali controllate dal centro.
I federalisti invece hanno rovesciato il concetto di stato come era stato sviluppato dalla teoria politica dal Seicento in poi. Lo Stato diventa una mera aggregazione di entità territoriali, una federazione, appunto.
Da una parte quindi abbiamo uno Stato “capillare” che esercita le proprie funzioni sul territorio attraverso enti locali, dall'altro dei “microstati” frammentati che svuotano lo Stato centrale delle proprie funzioni, per “spartirsele” tra loro.
L'ente è sempre, in ogni caso, presente. Il controllo è lì, in ogni caso, e varia a seconda della tecnologia e delle tecniche che si dispongono. Diverso è il referente, di questa funzione, non lo Stato, ma l'ente locale stesso. Quest'ultimo non deve rendere conto più a nessuno. Anzi si può dire che il potere di controllo acquistato dalle regioni viene perso dallo Stato. Sembrerebbe che nella scomposizione non si sia perso nulla ma non è così. Si è perso il potere di controllo dello Stato centrale, quello che agiva in nome di un interesse nazionale e che poteva legittimamente imporre agli enti locali ciò che essi non vorrebbero. È una questione tutt'altro che secondaria. Se ad esempio la Lombardia decidesse di privatizzare completamente la sanità e di privare migliaia di lombardi delle cure mediche, in un sistema federale come quello che viene proposto, lo Stato non potrebbe intervenire, perché non è nelle sue competenze. Chi è che controlla le Regioni? Come fanno i cittadini italiani a controllare quelli lombardi? Questo è un problema che i federalisti non si sono posti.
Questo problema del controllo, è una questione che è stata a lungo dibattuta. Gli stati moderni, quelli centralizzati, sono stati una risposta e una risposta per nulla fallimentare a questo problema. Non a caso si è cercato poi di contenere questo potere dello Stato, non di espanderlo.
Si è fatto passare in questi anni il modello centralizzato di Stato per una sorta di reperto storico, invecchiato, burocratizzato, qualcosa di anacronistico e ormai vecchio. E si è dipinto il sistema federale come l'avanguardia delle tecniche amministrative, il più avanzato possibile. Lo Stato centrale non sarebbe in grado di esercitare un controllo efficiente sui più diversi territori e finisce per ingolfarsi in una burocrazia lenta e controproducente. Al contrario la “devoluzione” consentirebbe una gestione snella ed efficiente della cosa pubblica.
Questa narrazione è falsa. Lo stato centralizzato invece è nato proprio come risposta ai problemi di efficienza. Già nei regni e negli imperi dell'antichità, un serio problema per le dinastie regnanti era quello di assicurarsi la fedeltà dei diversi signori e proprietari locali. Se non ottenevano la loro fedeltà potevano nascere guerre e quindi instabilità per l'intero impero o regno. Oppure il potere dei sovrani non era più effettivo, ma solo nominale, perché i vari amministratori locali potevano fare ciò che volevano. Questa fu una delle cause del crollo dell'Impero Romano. Fu la ragione per cui Il sacro Romano Impero si sarebbe dissolto e sarebbero nati gli stati nazionali.
Ma esisteva anche il problema inverso: quello dei tanti staterelli rinascimentali in guerra tra di loro, che impedivano l'espansione del commercio e dei mestieri e quindi la crescita economica. Uno stato piccolo ha anche un potere piccolo. In un mondo in cui gli scambi commerciali varcavano le frontiere, questo diventava un problema, perché gli stati padronali, le signorie, non riuscivano più a gestire fenomeni così complessi.
La risposta a questo problema fu proprio la creazione degli stati nazionali. La Francia ne fu un esempio cristallino. Da un lato, si distaccò dal pesante e fumoso Sacro Romano Impero, dall'altro riunì tutte quelle realtà geografiche disperse sul territorio. Fu così che nacque la monarchia francese. Essa fu un esempio di efficienza per quei tempi. Fu così che la Francia poté diventare una potenza mondiale. Grazie allo stato centrale i francesi poterono contendere il dominio del mondo. Per la sua mancanza, l'Italia, pur godendo di una florida economia e di un'industria sviluppata, finì per essere spazzata via dalla scena internazionale e per andare incontro all'inevitabile tramonto.
I poteri dello Stato, in seguito, non sono diminuiti, ma al contrario, sono aumentati. Il controllo che lo Stato centrale era in grado di esercitare divenne sì un problema, ma non per la sua mancanza, bensì per la sua invasiva presenza. Cosa furono gli stati totalitari se non la concretizzazione di questa preoccupazione? Uno stato che era capace di controllare la vita di ogni individuo fin nei minimi particolari, uno stato ubiquo che arrivava dappertutto. Tuttavia gli stati centrali, se si esclude il caso dei regimi totalitari, nati proprio dove non esistevano stati centrali moderni (come in Russia) oppure dove questi erano deboli (come in Germania e in Italia) furono il tentato equilibrio tra le due necessità: da un lato unità nazionale e controllo centrale, dall'altro libertà individuale. Ma il problema era nel rapporto tra stato e individuo, tra nazione e singolo cittadino, non tra Stato e comunità locale. Fu proprio il rapporto Stato-individuo che sostituì la vecchia visione imperiale e feudale sovrano-territori. Diventa l'individuo e il cittadino al centro della riflessione teorica e non più la proprietà terriera. L'individuo non è più una cellula di una comunità che si rapporta al sovrano solo attraverso la comunità e che al di fuori di questa comunità non è più nulla, ma un soggetto portatore di diritti. Fu proprio lo stato nazionale a permettere l'ingresso nella storia di questa concezione, che è poi la concezione moderna, circa i diritti e i doveri del singolo. È proprio lo stato centrale a garantire al cittadino la propria autonomia. Esso esercita il controllo su tutto il suo territorio perché i suoi diritti vengano rispettati ed egli rispetti quelli degli altri.
Contrariamente a quello che si pensa, nella storia, il potere centrale fu un argine all'intemperanza e al dispotismo dei signori locali. Questo rappresentava l'Imperatore a Roma, che non sempre riusciva in questo scopo per ovvie ragioni logistiche (data la difficoltà di collegamento che esisteva a quei tempi). Questo furono le monarchie europee, che combatterono contro i nobili locali prima signori incontrastati del loro territorio con potere di vita o di morte sugli abitanti, permettendo così il passaggio dal sistema feudale e dalla servitù dei contadini al sistema mercantile. Laddove, invece, non ci fu un'autorità centrale abbastanza forte da contrastare il dispotismo locale, come fu per la Russia zarista, ci fu una svolta verso forme totalitarie di stato, le uniche in grado, con costi individuali molto elevati, di modernizzare la struttura economica della nazione. Dove, invece, gli stati centrali esistevano ma erano deboli, erano esposti al rischio di attentati eversivi, che poi si concretizzarono drammaticamente.
Lo stato centralizzato è l'unica istituzione politica in grado di controllare i poteri locali, nonché quelli economici nazionali, e spesso, con qualche difficoltà, di arginare quelli internazionali. Fu proprio questa struttura politica centralizzata e ramificata (i due concetti non sono incompatibili ma complementari) a sconfiggere quel dispotismo locale di stampo feudale, fondato sul comunitarismo medievale della società patriarcale. Fu questa istituzione a permettere, in seguito, l'evoluzione verso forme di partecipazione popolare attraverso assemblee elettive alla vita politica.
Il federalismo, invece, vuole concentrare il potere presso gli amministratori locali, facendo passare questa scelta come portatrice di maggiore partecipazione popolare e di vicinanza delle istituzioni alle esigenze della popolazione. In realtà questo metterebbe gli amministratori locali, che tendono a fondare il loro potere sul localismo, sugli intrecci familistici e sul controllo dell'elettorato, nella condizione di creare dei “feudi” che emarginerebbero parte della società in favore di un'altra. La dimostrazione l'abbiamo con quanto succede in Emilia o in Lombardia, dove esistono due presidenti che quasi sicuramente arriveranno a quindici anni di governo ininterrotto.
I “governatori” possono contare sull'appoggio totale delle lobby locali e spesso anche su una raccolta di voti fondata su un sistema clientelare. Cosa che invece risulta molto più difficile a livello nazionale.
Abbiamo avuto inoltre esempi di discriminazione in regioni governate dalla Lega, in sfavore degli immigrati e delle minoranze.
Si va dunque ricreando quel dispotismo locale, quel comunitarismo fondato sull'aggregazione di una comunità dove i diritti individuali che erano tutelati dallo stato centrale, ormai debole, vengono negati, in favore di privilegi comunitari o etnici addirittura.
In una situazione in cui l'economia si muove su scala internazionale, tanto che persino gli stati nazionali faticano a stargli dietro, questo regresso a forme di potere decentrate non può certo costituire una maggiore presa da parte del potere politico su quello economico. Al contrario, gli enti locali, disponendo di un potere molto più ampio di prima, ma molto inferiore di quello di uno stato nazionale e di una sovranità limitata dai confini geografici, si troveranno in completa balia del grande capitale globale.
Con la globalizzazione al galoppo sarebbero da auspicare forti stati nazionali, le uniche istituzioni che finora hanno potuto, anche se non sempre, opporsi ai grandi interessi economici e nello stesso tempo garantire una partecipazione popolare effettiva, nonché i diritti dei singoli cittadini.
Invece sta avvenendo il contrario. Gli stati nazionali si vanno disgregando, di contro al rafforzamento dei poteri locali, e a quello dei poteri transnazionali (politici e soprattutto economici).
Sono sottoposti a una duplice tensione: da una parte verso l'interno, da parte dei poteri locali che tentano di disgregarli per spartirsene le spoglie, dall'altra parte verso l'esterno, da parte delle grandi lobby mondiali che tentano di dissolverne le funzioni in organismi sovranazionali e assolutistici (Unione Europea, Fondo Monetario Internazionale, ecc.).
Questo non fa altro che annientare l'unico organismo che finora ha permesso ai popoli di essere (seppure in modo parziale e lacunoso) rappresentati, che ha tutelato, pur differentemente, i diritti individuali e quelli delle classi più deboli, altrimenti del tutto esposte al potere delle oligarchie.
Che ha arginato e contenuto, certo in parte e in modo insufficiente, le disuguaglianze sociali, dove ha potuto, entro limiti umanamente accettabili.
Ogni meccanismo redistributivo deve passare per la centralizzazione. Le comunità primitive raccolgono le provviste diversamente raccolte dai propri membri per poi redistribuirle in parti eguali tra tutti.
Lo stato centrale preleva le tasse in quantità differente, a seconda della diversa ricchezza dei suoi territori, e poi le redistribuisce per tentare un parziale appianamento delle differenze e favorire uno sviluppo economico il più possibile omogeneo.
Lo stato federale non redistribuisce. La regione più ricca tiene per se le proprie ricchezze. I federalisti per rispondere a questa obiezione hanno escogitato il palliativo della “compensazione”, ma ovviamente questa compensazione sarebbe assolutamente non paragonabile a un'autentica redistribusione, poiché è evidente che se la parte maggiore e più significativa delle proprie ricchezze una regione le tiene per se, solo una parte minima e trascurabile di esse sarebbe destinata a una simile “compensazione”. Senza considerare tutti gli squilibri dovuti alle differenti offerte di servizi, in funzione della ricchezza, ma anche delle decisioni politiche che si prendono in una data area geografica.
I federalisti sostengono un sistema fiscale regionalizzato e parcellizzato come risposta all' “assistenzialismo” di cui avrebbero goduto, e di cui a volte hanno effettivamente goduto, alcune categorie.
Tuttavia questo assistenzialismo, si omette di considerare, non è dovuto a ragioni geografiche, bensì è legato a determinate categorie, classi sociali, ruoli o impieghi. Inoltre è proprio il sistema della “compensazione” il più vicino che esiste all'assistenzialismo, poiché ribalta il principio della fiscalità nazionale (tutti pagano per tutti) per renderlo una mera “sottrazione” delle ricchezze territoriali. Il federalismo ignora o finge di ignorare le caratteristiche dell'economia capitalistica, che non conosce barriere geografiche per cui le ricchezze della regione non sono il mero prodotto di quella regione, ma di una interazione a livello nazionale e spesso internazionale. Non esiste una ricchezza lombarda, una siciliana o una toscana. Esiste una ricchezza italiana. Era questo il principio sulla base del quale è avvenuta l'unificazione della penisola e i tentativi (a volte riusciti, altre falliti) di un suo ammodernamento.
Infine, spesso non si considerano a sufficienza gli “effetti collaterali” del federalismo. Ciò è dovuto ai concetti, assolutamente relativi, di centro e periferia. Una regione potrebbe essere vista come la periferia rispetto ai centri del potere nazionale. Ma sarebbe il centro rispetto ad altre sue province.
Facendo passare il principio della decentralizzazione politica e della parcellizzazione fiscale alcune province potrebbero un giorno reclamare nei confronti della propria regione lo stesso diritto che questa reclama oggi contro lo Stato. I comuni potrebbero fare lo stesso con le province. Infine, forse, anche i comuni finirebbero per disgregarsi. Una volta che il potere centrale viene meno, una volta fatto passare il principio alla base del federalismo, e una volta diffusasi la cultura dell'“ognuno per se” questo sarebbe uno scenario tutt'altro che imprevedibile.
I federalisti spesso portano come esempio nazioni di lunga tradizione federale, come gli Stati Uniti o la Germania. Tuttavia non considerano che: a) Sono Stati che sono nati attraverso un processo federativo, più che aggregativo, e che hanno da lungo tempo collaudato questo sistema, b) queste nazioni, godono tutte di forti squilibri economici tra le diverse aree geografiche c) Il federalismo è stato un compromesso che si è trovato tra i fautori dell'unità nazionale e gli indipendentisti.
Soprattutto quest'ultimo punto ci fa notare come la federazione sia una risultato di un processo di unificazione e non di disgregazione. Sarebbe l'evoluzione da una situazione di guerra intestina tra stati di una certa area geografica e relativa frammentazione, fino a una unificazione possibile, cioè quella che ha lasciato ampi poteri di manovra ai singoli territori federati che altrimenti non avrebbero mai accettato di unirsi. Al contrario i federalisti odierni vogliono proporre il loro sistema in nazione già unificate e tradizionalmente centralizzate politicamente, attuando il processo inverso, ovvero non una unificazione, ma una disgregazione nazionale.
Questo neofederalismo, come sarebbe più giusto chiamarlo, tradisce lo spirito del primo federalismo, che voleva l'unità e non la scomposizione di una nazione. Non è un caso che tutti i movimenti che sostennero il vecchio federalismo si ispiravano a ideologie patriottiche o nazionalistiche. Al contrario i maggiori sostenitori del neofederalismo rappresentano movimenti regionalisti e autonomisti, che reclamano autonomia e indipendenza dalla Capitale, l'esatto opposto di quanto facevano i vecchi federalisti.
Ma allora perché si sta tanto suffragando la causa dei neofederalisti se avrebbe effetti così nefasti?
In realtà i movimenti e i partiti politici che lo hanno fatto proprio sono soltanto la punta di un iceberg. Esistono lobby ben più potenti che spingono verso questo sistema e che operano per manipolare l'informazione dei media su questo argomento e fanno pressione sui dirigenti politici. Sono quelli che si riuniscono nel Club Bilderberg e che progettano un Nuovo Ordine Mondiale governato da istituzioni sovranazionali e oligarchiche. Il loro obiettivo è demolire gli stati nazionali.
Per farlo tentano da un lato, appunto, di rafforzare organi sovranazionali, dall'altro di indebolire il potere statale sul fronte interno, favorendone una sua disgregazione e una sua implosione. Il risultato sarebbe la cancellazione di qualsiasi possibilità di partecipazione popolare, dei diritti sociali e individuali acquisiti all'interno e per mezzo degli stati nazionali e sanciti dalle loro stesse carte costituzionali, una maggiore e prevaricante egemonia delle elite economiche internazionali.
Chiunque desidera che questo scenario non si realizzi dovrebbe sostenere il rafforzamento dello stato centrale, di contro alle pressioni tanto dei potentati locali (cavalli di Troia di quelli globali) quanto degli organismi internazionali, nonché del grande capitale globale.

16 commenti:

  1. Ciao Matteo
    sono giorni che sentiamo parlare di federalismo federalismo e federalismo... E' solo uno dei tanti diversivi per non parlare di cose serie, del lavoro, degli stipendi... Siamo la rebubblica dei problemi a spot, ora per qualche settimana il federalismo poi gli immigrati poi la camorra e via così
    un saluto

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  2. Infatti ho notato anche io come si sia evitato, ad Annozero, di scendere nel particolare parlando di federalismo. Ognuno dovrebbe riflettere, quando se ne parla, su chi è il promotore di questa cosa: un partito secessionista e razzista.
    Anche io credo che attuando il federalismo peggiorerà tutto il panorama politico sociale del paese, ed a pagarne di più le conseguenze saranno le regioni più in difficoltà e le persone socialmente più deboli; senza contare, come ben fai notare, il terreno fertile che avranno le lobby economiche nel far pesare come macigni il loro interesse a scapito di tutta la comunità.
    Vorrei, come dice Ernest, che fosse solo uno spot, ma credo che siamo alla resa dei conti.
    Spero comunque che si risolva bene per tutti noi, anche se per far sì che succeda, bisognerebbe ricambiare tutta la classe politica, buona parte della classe economica dirigenziale, e poi ci vorrebbe quel partito di sinistra che tanto auspichiamo.

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  3. Fa veramente paura il disegno che hanno sapientemente ben costruito e che li porterà ad ottenere quanto hai ben descritto.
    Il popolo italiano non è mai stato tale, se non nella mente di quella che un tempo era una sinistra forte, il terreno per arrivare a questi scopi è stato da semmpre ben seminato.
    Riuscire a far capire a tutti quanto sarà deleteria la federazione è un'impresa aruda. Non capirà certo il razzista del Nord che sogna da sempre di buttare fuori dalla propria regione il sudista o l'extracomunitario e vede nel federalismo la concretizzazione del sogno.
    Non capirà il sudista da sempre grato al Don di turno che lo ha tenuto in grazia facendogli favori a differenza di uno Stato "assente" ai suoi bisogni. Purtroppo è questa la gente che ha decretato a questi politici il potere assoluto.
    Non vedo più molto tempo di reazione da parte di quel popolo che si sentiva tale.
    A nulla valgono le pacifiche manifestazioni, le proteste e la rabbia. I poteri occulti hanno occupato per sempre le poltrone del comando.
    Buona Giornata

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  4. Caro Matteo, l'Unione Europea sarebbe potuta essere una validissima centralizzazione dei diritti; invece anch'essa è diventata un'arma in mano ai Soliti Noti per cancellare i nostri diritti sociali e sindacali. L'apertura del mercato globale nel '95 e l'ingresso della Cina nel 2001 hanno avuto e stanno avendo effetti devastanti. Una Unione Europea seria avrebbe dovuto rispondere col protezionismo, ma come si poteva fare, quando i socialisti francesi, i socialdemocratici tedeschi e i laburisti inglesi sono stati fra i primi sostenitori di questo abominio?

    Il federalismo è una risposta inadeguata a un problema, ma che piace agli italiani perché istintivamente si guarda con favore al localismo clientelista. Si spera sempre in un amico, mai nelle proprie capacità. Il che è qualcosa che dovrebbe deprimere sia persone di sinistra (dov'è la giustizia sociale?) sia persone di destra (dov'è la meritocrazia?). Buone cose.

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  5. Condivido pienamente. In un vecchio post, già ho parlato contro qualsiasi forma di decentramento, ma ci tornerò.

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  6. Caro Matteo, sono sostanzialmente d'accordo con Ernest sul fatto che mi piacerebbe che si parlasse a livello nazionale dei problemi veri, che si affrontassero le questioni legate alle persone e all'ingiustizia delle differenze sociali più che al potere, e del resto anche tu all'inizio hai parlato giustamente di quella...ehm...sinistra la cui preoccupazione è la persona del presidente del consiglio più che il suo operato nei confronti delle persone più deboli, ben nascosto come se invece facesse il contrario. Nonostante questo, ritengo che il tuo post sia un perfetto profilo storico di un qualcosa che in effetti è un pericolo proprio perché discriminerà sempre di più le classi più deboli. Del resto, come ho sempre detto, lo sport preferito dai media del "non dire" ha fatto sì che tutte queste considerazioni non le abbia fatte nè chi è fuori dalle regioni ricche (altrimenti come si possono comprendere certi risvolti), e nemmeno chi ne fa parte, che ritiene che le proprie tasse poi torneranno nelle loro tasche (chissenefrega se altri italiani faranno poi ancora più la fame) anziché in armamenti per esempio (cosa che invece è purtroppo quasi certa) o in sperperi dovuti alle manie di grandezza del potere.
    La storia non insegna Matteo, come al solito :-( Ma, come dicevo, non si può dare tutta la colpa a chi non impara, quando c'è soprattutto chi non la insegna.
    Grazie, come sempre, per questo bel post.
    Un abbraccio

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  7. due solo risposte all'affermazione che lo stato federalista non può funzionare:
    USA e Svizzera

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  8. @amaryllide
    C'è però una differenza fondamentale: le nazioni che citi si sono costituite federandosi, è stato un modo per unirsi. In Italia, la cosa sta al contrario, non è ovvia la differenza?

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  9. Esatto Vincenzo, l'ho anche scritto nel post. Inoltre, amaryllide, gli Stati che citi non sono proprio esemplari dal punto di vista delle tutele sociali o della redistribuzione della ricchezza.

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  10. Ieri sera parlavo con un amico siciliano, costretto a emigrare dalla sua terra per lavorare. Ora si è stabilito nel mio paese, ma ancora fatica a trovare stabilità, in un comparto afflitto da una disgrazia (Gelmini) come quello dell'istruzione. Parlando di federalismo, nonostante anche lui lo veda come una cosa negativa in linea di principio, trova che sia quel che ci vuole per il sud dell'Italia. Nel descrivermi lo scenario agghiacciante di imprenditori che fanno finta di lavorare per intascarsi i contributi europei, mi ha detto che forse è l'unico modo per far scendere con i piedi per terra questa gente, che a detta sua, oltre ad essere tanti, sono esattamente coloro che affossano l'economia del sud Italia. Senza voler, in questa sede, scendere troppo in particolari, lo scenario descrittomi non fa particolari riferimanti a clan malavitosi, ma, si innesta trasversalmente alle organizzazioni mafiose nel procurare il disagio che noi tutti ben conosciamo, dal mezzogiorno in giù. Praticamente, asserisce, nel momento in cui cesserà il flusso di soldi che li sostiene, dovranno rimboccarsi le maniche e cominciare a lavorare sul serio.

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  11. @Roby
    Rimane tuttavia da capire perchè certi comportamenti criminosi dovrebbero sparire applicando il federalismo. Detto in numeri, la popolazione della Sicilia, circa 5 milioni di cittadini è grande quanto un piccolo stato: risulta forse a qualcuno di voi che negli stati piccoli i comportamenti siano più virtuosi? Credetemi, io sono siciliano, con il federalismo i comportamenti criminosi non potranno che aumentare, io personalmente abolirei la stessa regione siciliana e giù giù fino ai comuni, tutto centralizzato, e i comportamenti sarebbero un po' meno criminosi, io non ho alcun dubbio in proposito.

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  12. Roby ma te lo immagini cosa significherebbe il federalismo in una regione come la Sicilia, con il potere della mafia infiltrata in tutte le istituzioni?
    E poi i contributi? Tu pensi che la Regione Sicilia li gestirebbe meglio dello Stato italiano? Io penso proprio il contrario!

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  13. Naturalmente ho parlato della Sicilia ma potevo scegliere qualsiasi altra regione italiana. Basti vedere quello che la Lombardia ha cpmbinato con la gestione della sanità convenzionata, Santa Rita insegna. E voi volete lascire la Lombardia nelle mani di Comunione e Liberazione?

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  14. Riguardo all'ultima affermazione, Matteo, che "Dio" ce ne scampi! Io non ho fatto altro che riferire il pensiero di un compagno siciliano atterrito dalla cattiva gestione della sua terra; egli crede che, a molti personaggi che sfruttano la situazione, si adicerebbe un periodo di difficoltà che li veda costretti a lavorare. Anche io sono convinto che la regione Sicilia li gestirebbe peggio dello stato centrale, ma proprio quà sta la questione. Secondo me, la questione federalismo, investirà il paese con mille problematiche, che rispecchieranno le mille problematiche del territorio così diverso da regione a regione.
    Ma la mia è una visione semplicistica, da persona comune poco ferrata sull'argomento.
    Sarà uno sfascio.
    Sarebbe bello discuterne anche col mio amico, per averne un'opinione diretta, ma lui non ha un blog.

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  15. come sempre in ritardo ma... secondo me:
    avendo dovuto, per niente disinteressatamente, abbandonare il secessionismo "politico" a favore del "centralismo romano", ora divideranno ancora di più il sud dal nord (anche indipendentemente dalle coalizioni partitiche)!

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  16. Faccio notare che la Sicilia è una regione a statuto speciale; in qualche modo ha già una sua forma di federalismo (anche fiscale) ...

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