sabato 24 ottobre 2009

Satira: le primarie del Pd

Eccezionalmente Eresia rossa ha ottenuto un'intervista dai tre candidati alle primarie del Partito Democratico.

DAL NOSTRO INVIATO (cioè io... che cazzo volete non sono mica il Corriere della Sera!)

Pierluigi Bersani

D: Salve, Bersani, i risultati degli iscritti la danno per ora vincente, lei si sente sicuro di questo risultato?
R: Ma certo! Ma io lo ero da sempre, sapevo di poter contare su un forte sostegno da parte dello zoccolo duro del nostro partito
D: intende gli iscritti? Gli elettori più fedeli?
R: No, lo zoccolo duro, ho detto!
D: e qual è?
R: ma come qual è? Ma lo sanno tutti! Massimo D'Alema.
D: e perché sarebbe lo zoccolo duro?
R: perché ha detto che se vince Franceschini me lo tira in testa, lo zoccolo.
D: capisco, ma da cosa deriva la sua sicurezza? Lei crede che la sua influenza possa bastare per farla vincere?

Bersani: quando D'Alema gli ha detto di
"correre" per la segreteria lui lo ha preso
in parola
R: no, anzi, ho un paura tremenda!
D: di perdere?
R: ma no! Di D'Alema!
D: ma non ha appena detto che
crede nel suo sostegno?
R: e come se ci credo! Anche troppo!
D: e allora dove sta il problema?
R: come faccio a spiegarglielo? Non lo sopporto più! Lui mi perseguita! Qualsiasi cosa faccio è sempre là a dirmi come devo comportarmi.
D: per esempio?
R: la mattina quando mi sveglio mi telefona per chiedermi come mi sento, se ho dormito bene, se vado in bagno regolarmente...
D: si preoccupa per lei...
R: ma cosa! Quello mi sta sempre addosso! Vado al supermercato e lui mi dice cosa devo comprare...
D: cioè le da consigli su come fare la spesa?
R: l'altra volta per esempio è sbucato dal carrello della spesa e mi ha detto: “Pierluigi ma che fai? Hai già preso l'anguria e i pomodori” “e allora?” “e allora di che colore sono i pomodori e l'anguria? Rossi, quindi penserebbero che ci vogliamo spostare a sinistra” “allora tolgo l'anguria e prendo il cocco che è bianco” “ma no! Hai già preso il latte, così pensano che ci vogliamo spostare al centro! poi qui mi hai messo la polenta, potrebbero pensare che ci vogliamo alleare con la lega, allora per compensare devi metterci anche il cous cous che fa società multietnica... e il pane... non prendere la solita pagnotta o penseranno che siamo troppo attaccati alle tradizioni, ma no! Prendi una baguette che fa molto Sarkozy, non possiamo lasciare la destra francese a Berlusconi” e via di questo passo! Le dico, un inferno!
D: interessante. Ma poi come è andata a finire?
R: ho preso le emmemens che sono di tutti i colori così ci teniamo aperte tutte le porte.
D: a proposito, lei conferma l'alleanza con Di Pietro? E preferisce un'intesa con l'Udc o un'apertura a sinistra?
R: secondo D'Alema... cioè... voglio dire secondo me, il Pd non può farcela da solo, non può prescindere da un'alleanza con l'Idv, anche se è un alleato difficile, del resto bisogna creare con l'Udc un fronte comune di opposizione. Ma d'altro canto anche allargare l'alleanza alla sinistra potrebbe essere interessante...
D: insomma, tutti quelli che sono all'opposizione?
R: non mi fraintenda, non ho detto questo. Io penso infatti che l'antiberslusconismo non ha mai risolto nulla.
D: quindi?
R: quindi ci alleeremo anche con la lega!
D: sta scherzando?
R: no! Come diceva Massimo? La costola della sinistra...
D: è sicuro che la base capirà questa scelta?
R: no, infatti ci mettiamo pure il Sudtiroler Volkspartei, l'associazione degli invalidi di guerra, la federazione italiana di pallamano, il comitato per la caccia al tacchino selvatico, l'unione degli apicoltori e la curva del Piacenza.
D: niente più?
R: Ah! Dimenticavo, naturalmente anche Belzebù e Wanna Marchi.
D: non crede sia un'alleanza un po' troppo allargata?
R: lo so, ma non importa.
D: preferisce il pluralismo?
R: no, non mi importa perché tanto non vinceremo mai le elezioni comunque.
D: senta Bersani, in questa campagna elettorale si è parlato poco di programmi, lei cosa propone?
R: come scusi? In che senso?
D: avrà pure un programma, una piattaforma politica, una visione della società diversa da quella degli altri due candidati...
R: ma lei è rimasto ancora a 'sto punto? Ma dove vive? Lo sanno tutti che in Italia i programmi politici sono stati aboliti per legge.
D: Davvero? E quando?
R: governo D'Alema: si ricorda la bicamerale? Secondo lei che l'abbiamo fatta a fare?
D: c'è sempre lo zampino di D'Alema...
R: eh, be' è quello più intelligente tra noi, del resto... non ci vuole poi molto!
D: grazie Bersani. E in bocca al lupo!
R: meglio dire in bocca a D'Alema.


Dario Franceschini

D: Salve, Franceschini. Domani si terranno le primarie. Lei crede di vincere?
R: Io sono fiducioso che gli italiani, desiderosi di cambiamento e di voltare pagina rispetto al passato, chiedano un partito forte e aperto, capace di rispondere alle mille esigenze che la società...
D: si? Continui...
R: ma no, senta, facciamola finita, non ne posso più di recitare 'sti pistolotti, tanto a chi la do a bere? Si sa che vince D'Alema.
D: D'Alema? Ma lui non è candidato alla segreteria.
R: nemmeno nel '98 era candidato alla presidenza del consiglio, eppure guardi cosa è successo.
D: immagino che lei pensi che dietro Bersani ci sia D'Alema a muovere le fila?
R: ma no, è ovvio. Io penso che D'Alema sia dietro tutti e tre.
D: ma come? Anche dietro di lei?
R: ma certo! Tutte queste primarie sono un gioco organizzato da lui. Lui si diverte alle nostre spalle e noi lavoriamo come schiavi!
D: posso capire che D'Alema eserciti una certa influenza, ma adesso non le sembra di esagerare?
R: ma, no. Ascolti. Chi ha fatto cadere Prodi per mettersi al suo posto? D'Alema. Chi ha fatto vincere Berlusconi?
D'Alema. Chi ha tolto di mezzo Veltroni? D'Alema. Chi ha portato avanti la candidatura di Bersani? D'Alema. Chi vincerà le primarie?
D: Bersani?
R: no! D'Alema! Sempre D'Alema.
D: non crede di esserne un po' ossessionato?
R: certo che sono ossessionato, lui mi insegue, mi ricatta!
D: sicuro di quello che dice? È un'affermazione molto pesante!
R: a lei posso dirlo, ormai sono esasperato! Lui mi perseguita ovunque, me lo trovo davanti a qualunque ora della notte che mi spia e complotta contro di me.
D: cioè entra in casa sua?
R: non solo, entra nei miei sogni!
D: ah! Cioè se lo sogna la notte!
R: si. E proprio mentre sogno di vincere le primarie, portare il pd al governo e diventare presidente del consiglio acclamato da folle oceaniche ecco che spunta lui a rovinare tutto.
D: penso che lei avrebbe bisogno di un ottimo psichiatra. Eppure non si direbbe a guardarla in televisione. Sempre così calmo e misurato!
R: ah perché lei non mi conosce! Arrivi a un certo punto che non ce la fai più. Per anni ho fatto la gavetta nella Dc, tra gente come Cossiga, Andreotti, De Mita e Forlani. Poi nella Margherita dietro Rutelli. Nel Pd ho dovuto fare il secondo di Veltroni e contare un cazzo. Adesso, potevo avere la segreteria tutta per me e finalmente contare qualcosa, arriva D'Alema e non solo mi piazza Bersani. Ma mi mette contro pure Marino!
D: però anche lei se l'è un po' cercata! Da secondo poteva allearsi con Marino e diventare segretario. Invece lei ha detto che non si farà nessun accordo.
R. mi rifiuto di ricorrere a mezzucci di questo tipo.
D: ma che mezzucci, mi scusi: senza una maggioranza assoluta ci sarà un segretario debole.
R: “vince la squadra che totalizza il punteggio più alto” è il regolamento della Figc.
D: la federazione dei giovani comunisti italiani?

Franceschini: "se non potrò fare il segretariodel Pd, farò almeno il
capostazione"
R: no. Federazione Italiana Giuoco Calcio.
D: non è mica una partita di calcio. Il punto non è chi arriva primo ma chi ha più consensi. E se due candidati alleandosi ottengono la maggioranza assoluta non fa niente se nessuno di loro arriva primo.
R: questo regolamento non l'ho mai sentito. Di che sport si tratta?
D: si chiama Politica.
R: non lo conosco. Mi dispiace, ma non ne ho mai sentito parlare. Sarà uno sport molto poco diffuso.
D: effettivamente sì, di questi tempi, non è molto praticato. La gente preferisce i Reality show.
R: mi scusi ma adesso devo lasciarla, devo andare al confessionale.
D: a redimere i suoi peccati?
R: ma no! Nella grande Casa del partito Democratico a parlar male degli altri candidati senza parlare di nulla. E poi devo fare le nomination.
D: buona fortuna!
R: grazie! E lei segua un po' più lo sport il mercoledì sera.


Ignazio Marino

D: Salve, Marino.
R: Hello, my friend!
D: lei si presenta come outsider in queste primarie. Ma cosa l'ha spinta a candidarsi?
R: voglio un partito aperto. Un partito laico, con un'identità forte. Che sappia dire sì quando deve dire sì e no quando deve dire no. Boh in tutte le altre occasioni.
D: lei si pone come un innovatore che vuole cambiare i vertici del partito.
R: esatto. Bisogna saper dire sì, quando bisogna dire...
D: questo lo abbiamo capito, ma

Marino con i colleghi della Columbia University e il pupazzo
Fuffy, suo consigliere politico.
lei cosa propone?
R: è semplice. Andarcene tutti negli Stati Uniti.
D: per imparare dalla politica americana?
R: no, no. Proprio per andarcene.
D: si spieghi meglio.
R: è mai stato in America? Si sta da dio. Sopratutto se fai il chirurgo e guadagni milioni di dollari.
D: non faccio fatica a immaginarlo.
R: allora ci trasferiamo là tutti noi del partito democratico.
D: ma per quale ragione?
R: si ricorda cosa diceva Kennedy: “esci, partito, dalle tue stanze!”?
D: ma quello era Majakovskij!
R: lo so ma non era abbastanza meritocratico. Allora l'ho cambiato.
D: vabe' insomma...
R: io voglio fare proprio questo. Farlo uscire.
D: dalle stanze?
R no. Dall'Italia. Sono più drastico. Ci vuole un cambiamento radicale.
D: capisco. Ma non crede sia difficile pensare che lei così possa vincere le primarie?
R: può darsi, però sarebbe divertente.
D: piuttosto mi dica: lei ha detto di voler cambiare i vertici di partito. Ma chi sostituirebbe e con chi?
R: guardi, basta con i professionisti della politica. Perciò ho fatto una lista, ascolti: David Letterman al posto di Fransceschini che fa più ridere. Bob Dylan al posto di Bersani che almeno è più intonato quando canta l'inno di Mameli (che sarà sostituito da quello americano). Bruce Springsteen al posto di D'Alema, un rocker pieno di energia al posto di un vecchio comunista della nomenklatura. E infine, la Harvard University al posto della Binetti. Ci vuole una cultura laica. E soprattutto molto ma molto snob.
D: continuo ad esser del parere che non sia granché per vincere.
R: senta: ma chi le dice che io voglio vincere? Secondo lei con Bersani sostenuto da un vecchio marpione come D'Alema e Franceschini sostenuto dai cattolici, me ne esco io fresco fresco, appena di ritorno dalla Florida, pensando di vincere?
D: e allora perché si è candidato?
R: ma così, sa? Per gioco. Secondo lei perché la Toyota corre in Formula uno? Per vincere il mondiale? Perché il Cagliari partecipa al campionato? Per vincere lo scudetto? È un gioco! Ci si diverte!
D: ma come è un gioco? Ma...
R: ma sì, bisogna essere sportivi nella vita, bisogna saper perdere. Perché scannarsi? Dopotutto è solo un gioco!
D: ma come un gioco! E i migliaia di precari? E i pensionati che non arrivano alla fine del mese? E gli operai in cassa integrazione? E i disoccupati senza lavoro? E gli immigrati?
R: sono stati alla Columbia University?
D: non credo proprio.
R: allora non mi interessa. Li ringrazi per l'interessamento ma dica loro che le mie proposte sono sufficienti.
D: non credo sia questo il loro problema.
R: lo so. Scherzavo. Lo so qual è il loro problema.
D: e qual è?
R: semplice. La mancanza di meritocrazia in questo paese! Non tutti i geni della scienza possono andare all'estero a guadagnare milioni di euro come ho fatto io.
D: ma quanti sono i geni della scienza?
R: nel parlamento italiano due. Io e la Montalcini.
D: insomma, quando arriverà il giorno che il Pd si interesserà dei problemi veri della gente?
R: mai, stia tranquillo. Quel giorno non arriverà mai. Non corriamo rischi.
D: la saluto. Buona fortuna per le primarie.
R: grazie, anche se si dice Good Luck!.
D: se, va be'.

sabato 17 ottobre 2009

Censura legale


In questi giorni in cui la questione della libertà di informazione è al centro dell'attenzione, si discute della pressione che ricevono i giornalisti da parte di poteri politici o economici per non pubblicare determinate notizie.
Tuttavia esiste un'altra forma di censura probabilmente meno clamorosa e di cui si discute di meno ma altrettanto pericolosa per chi si occupa di documentare fatti accaduti. Stiamo parlando non dell'informazione “di regime” quella asservita a questo o a quel gruppo politico, ma di quello stesso giornalismo “coraggioso” che si trova a fronteggiare mille difficoltà anche quando riesce a rendere pubblico il proprio lavoro.
Come tutti sanno le denunce di giornali o trasmissioni televisive comportano spesso cause civili interminabili e quindi una notevole spesa di denaro, oltre che di tempo, per l'editore e il responsabile del servizio o dell'articolo incriminato. Non sempre però l'editore è disposto ad accollarsi i rischi di una causa che potrebbe comportare per lui ingenti perdite economiche. Oppure non sempre quell'editore è disposto a compromettere l'immagine di influenti gruppi di potere. Si parla in questo caso di censura, eppure non sempre viene impedita la pubblicazione di un documento, si usa invece un metodo molto più subdolo. Certe volte infatti l'editore si accolla la responsabilità della pubblicazione di un certo lavoro giornalistico e quindi anche delle eventuali spese legali. Ma non sempre accade questo. Molto spesso può spogliarsi di ogni responsabilità civile e penale e scaricare tutto sulle spalle del singolo giornalista che in genere è privo dei mezzi per difendersi adeguatamente da solo. L'editore può farlo attraverso un cavillo legale. Si chiama “clausola di Manleva”, che è quel vincolo che il professionista è obbligato ad accettare sul suo contratto di collaborazione se vuole poter lavorare. Questo vincolo rende l'editore immune da ogni rischio legale nel caso di una causa, scaricando la responsabilità sul giornalista che nel contratto ha dichiarato di esonerare il proprio editore da ogni responsabilità. Naturalmente si tratta di una dichiarazione forzata perché l'alternativa ad essa per un giornalista è in genere la disoccupazione o un altro lavoro. Così molto spesso quel giornalista può non sentirsi abbastanza forte da portare avanti il proprio mestiere fino alle estreme (e tanto più apprezzabili) conseguenze, ovvero potrebbe rinunciare a trattare argomenti delicati o a urtare la sensibilità di determinati personaggi.
È quanto accaduto a Paolo Barnard, all'epoca della sua collaborazione con la famosa trasmissione Report, su raitre. Egli si occupò di un servizio riguardante il “comparaggio farmaceutico” ovvero la prassi diffusa da parte delle ditte farmaceutiche, in Italia e all'estero, di corrompere i medici perché questi prescrivano determinati farmaci che hanno deciso di piazzare sul mercato, anche quando non sono necessari o addirittura quando sono nocivi per la salute. Fece molto scalpore il caso del Vioxx, che negli Stati Uniti causò tra le 35000 e le 55000 vittime.
La trasmissione fu molto apprezzata dal pubblico al punto che la rai decise di rimandarlo in onda un'altra volta a distanza di due anni. Tuttavia un testimone dell'inchiesta decise di rivalersi sul programma. Paolo Barnard afferma che la rai e la Gabanelli gli avevano assicurato che l'azienda avrebbe provveduto alla sua difesa e all'eventuale rimborso. Tuttavia le cose sarebbero andate ben diversamente e, secondo quando afferma Barnard, non solo la rai avrebbe fatto valere la clausola Manleva, ma avrebbe dichiarato ufficialmente la propria estraneità al fatto scaricando la responsabilità tutta sul giornalista. La stessa cosa avrebbe fatto Milena Gabanelli in qualità di caporedattrice del programma. La rai avrebbe pagato per difesa propria e della Gabanelli, rifiutandosi però di provvedere a quella dell'autore del servizio.
Milena Gabanelli ha assicurato che avrebbe provveduto per le spese anche per la parte spettante a Barnard, ma quest'ultimo nega categoricamente di esserne stato informato.
Molti spettatori di Report avevano scritto alla trasmissione o pubblicato commenti sul forum per chiedere delucidazioni. Tuttavia la redazione si sarebbe limitata a bannare gli autori delle proteste e a chiudere il suddetto forum. Un comportamento non certo degno di una trasmissione di questo livello.
Ora aldilà della vicenda personale e umana di Paolo Barnard, cui va tutta la solidarietà di chi scrive per quel che può servire, c'è un punto essenziale. E cioè che esiste uno strumento perfettamente legale per impedire di fatto la pubblicazione di notizie scomode. Questo strumento fa leva sulla paura del giornalista, paura giustificabile perché è umano non sentirsi capaci di reggere da soli le conseguenze di una causa che persone potenti potrebbero intentare contro di lui. La libertà di informazione passa anche per la tutela di chi svolge questo mestiere. Costui non deve temere ripercussioni, di alcun genere, altrimenti potrebbe ritenere che sia meglio per la sua carriera o anche per la propria sopravvivenza quella di lavorare un po' meno scrupolosamente di come invece vorrebbe fare.
Spesso siamo abituati a porre la questione della censura solo in termini diretti. Ci immaginiamo che ci sia sempre un politico o un magnate della finanza che telefoni al caporedattore intimandogli di non pubblicare una notizia che potrebbe nuocere ai suoi interessi. Questo caporedattore a sua volta esercita sul giornalista il divieto.
Tuttavia non sempre la situazione è così lineare è chiara. Il potente di turno potrebbe non aver bisogno di alcuna telefonata, di alcun diktat proferito al direttore di un giornale. Non è detto che si renda necessario un qualche editto da un paese straniero per impedire illecitamente a un reporter di render note alcune vicende. Può usare un metodo molto più persuasivo e perfettamente lecito: la legge.
Ci siamo abituati a pensare che oggi la censura sia formalmente vietata. Che le leggi del nostro paese la condannino. Poi farla rispettare è un altro paio di maniche ma comunque siamo portati a credere che censurare una notizia scomoda sia un atto illegale. Ma non è sempre così.
Minacciare querele è una condotta perfettamente legale. Come è perfettamente legale per un editore scaricare qualsiasi responsabilità sul giornalista che lavora per lui e grazie al quale ottiene un profitto. È perfettamente legale che un giornalista venga la ciato solo dall'azienda per la quale ha lavorato per anni senza avere la possibilità effettiva (e quindi economica) per difendersi da eventuali ritorsioni. Non meravigliamoci allora se di fronte a difficoltà e pericoli così spesso insormontabili, molti decidano di gettare la spugna e di accontentarsi di fornire una mediocre ma meno rischiosa informazione.
Pertanto se si vuole evitare la censura non basta intervenire sui mezzi di comunicazione per limitarne la monopolizzazione. Non basta affrontare la questione del conflitto di interessi. Occorre escogitare delle tutele giuridiche per il giornalista.
Credo perciò siano necessari i seguenti tipi di azione legislativa:
  1. Stabilire per legge la responsabilità giuridica in sede sia penale che civile da parte dell'editore di tutto ciò che pubblica, rendendo illegittime e nulle tutte quelle clausole che assolvono gli editori dal dovere di difendere l'autore.
  2. Vietare qualsiasi azione legale da parte dell'azienda contro l'autore per rifarsi delle spese sostenute in sede processuale ai danni di quest'ultimo.
  3. Assolvere l'autore (e l'editore) dall'accusa di diffamazione nel caso in cui questi dica la verità o nel caso in cui, pur dando una notizia falsa, lo fa in buona fede e inconsapevolmente, ovvero per errore (purtroppo in Italia avviene l'esatto contrario cioè si può querelare e avere soddisfazione anche nel caso che la notizia motivo del contenzioso sia vera).
  4. Commisurare il risarcimento pecuniario alle effettive capacità dell'azienda; ovvero, non si può far pagare la stessa cifra a un giornale come il Corriere della Sera che ha una tiratura di migliaia di copie e all'ultimo quotidiano locale, anche perché il danno è diverso poiché a parità di diffamazione fa più danno un giornale che è più diffuso.

Proporrei addirittura uno “Statuto dell'autore” che stabilisca i diritti di chi dà informazioni, con qualunque mezzo (tv, radio, stampa o internet).
Si tratta perciò non solo di agire su un piano tecnico-mediatico, ovvero concernente il processo di accumulazione dei media e del loro controllo, ma anche su quello giuridico-sindacale, ovvero permettere a chi fa informazione, e alle organizzazioni che si occupano della sua tutela, di poter disporre di validi mezzi legali che lo protegga, in modo da compensare la sua debolezza su un altro fronte, quello dei mezzi economici e politici. Non bisogna soltanto colpire i “censori”, ma anche proteggere i “censurati”. Solo se esiste una protezione per chi si occupa di informazione sarà possibile allora una libertà di espressione concreta e non meramente formale.



Fonti:
Consiglio vivamente questa videointervista a Paolo Barnard su http://www.youtube.com/watch?v=IPZAJAAuWUE&feature=related molto interessanti anche i video correlati che trattano dell'informazione in italia.

Il dibattito sulla questione specifica che riguarda Paolo Barnard e la trasmissione Report è presente su Arcoiris tv: http://www.arcoiris.tv/modules.php?name=Lettere&op=esteso&id=3871 e http://www.arcoiris.tv/modules.php?name=Xvid&id=9128

mercoledì 14 ottobre 2009

La sinistra e i falsi martiri del giornalismo


Sarebbe ora che certa sinistra la smetta di trattare come martiri della libera informazione quelli che fino all'altro giorno hanno sempre obbedito ai diktat che vengono dall'alto. La dimostrazione l'abbiamo avuta con Ferruccio De Bortoli che dopo essere stato attaccato da Berlusconi per non averlo difeso abbastanza invece di dire, “scusi presidente, ma il mio giornale scrive quello che cazzo gli pare” ha fatto un editoriale in cui afferma di aver sempre difeso il governo e di non essersi mai unito ai suoi accusatori, come dire, se lo avesse fatto allora il presidente del consiglio avrebbe tutto il diritto di censurarlo.
Purtroppo questo comportamento nei confronti di certi giornalisti non è nuovo. Un esempio è Giampaolo Pansa, colui che si autodefinisce “revisionista” che ha mosso accuse gravi non solo ai partigiani ma alla Resistenza in quanto tale. Oppure Oriana Fallaci, la profetessa della guerra di civiltà, quella che nell'ultima parte della sua vita si è messa a difendere Bush, Ratzinger, lo stato criminale di Israele, allineandosi su posizioni apertamente reazionarie, molto simili a quelle della destra razzista, eppure non sono stati molti coloro che ebbero il coraggio di contraddirla, quasi fosse una divinità scesa in terra che con acida espressione sputa sentenze su chiunque, ci fu addirittura chi, come Rutelli, da ministro della cultura le dedicò una mostra fotografica con tanto di elogio senza nessuna presa di distanze dal periodo anti-islamico della giornalista.
Poi ci sono quelli che non prendono mai una posizione fissa e dichiarata, li chiamano “terzisti”, quelli tipo Pierluigi Battista che dichiarano la loro equidistanza dai partiti politici, arrivano persino a dichiararsi “di sinistra”, come nel caso del suddetto Battista, ma poi la loro posizione finisce di fatto sempre con l'allinearsi con chi ha il potere.
Prendiamo uno come Enrico Mentana. Uno che dopo aver lavorato per anni e anni nel gruppo mediaset viene scaricato per un capriccio del padrone che ha deciso che non è abbastanza piegato ai suoi voleri. Eppure era sempre lui quello che quando in Italia coloro che venivano additati come “estremisti” dicevano che in Italia non c'era sufficiente libertà di espressione, lui negava, assieme a tutti quelli che “la sinistra deve abbandonare l'antiberlusconismo”. Francamente non mi è parso che Mentana si sia mai messo in mostra per una mancanza di riguardo verso i potenti. Del resto per condurre per tanto tempo il tg5 non credo che si possano essere molto inflessibile con il padrone della rete. O forse vogliamo dire che il tg5 prima fosse neutro e imparziale? Certo, molti se ne sono accorti solo ora dello stato della libertà di stampa in Italia, ma questo è un altro discorso.
Le epurazioni non sono cosa nuova in Italia. Eppure quando capita a giornalisti come Paolo Mieli certo non si può dire siano venute meno delle voci critiche. Ne sa qualcosa Carlo Vulpio cacciato quando sul Corriere uscì un servizio sulle perquisizioni della Procura di Salerno contro quella di Catanzaro. Vogliamo forse ricordare Gianni Riotta? Quello che si vantava nel suo ultimo giorno da direttore dei successi di ascolto del tg1 durante il terremoto a L'Aquila? Il patito dell'Auditel?
Bisogna distinguere censure come quelle a danno di giornalisti come Santoro o Travaglio e censure agli scribacchini di regime come può essere un Paolo Mieli o un Ferruccio de Bortoli, che forse più per la volontà di dire la verità sono stati sostituiti con chi facesse meglio il loro lavoro, ovvero la prostituzione a mezzo stampa. Non è che siccome hanno subito un'epurazione questa persone diventano automaticamente degli eroi. Anche perché può esserci una ragione strategica nel sacrificare delle pedine alleate. Ovvero quello di far credere “avversari” giornali che invece hanno sempre sostenuto la linea governativa, capita spesso di vedere accomunati da esponenti del centrodestra un giornale come Repubblica, vicino all'opposizione con uno come il Corriere della Sera, vicino invece alla maggioranza. Facendo passare questo concetto Berlusconi ha gioco facile nel sostenere che i giornali sarebbero tutti di sinistra, pur trattandosi di una palese falsità.

lunedì 12 ottobre 2009

Odiare la videocrazia


Ho visto finalmente Videocracy. Molti di voi l'avranno già visto quindi potranno capire bene ciò di cui parlo. Ho provato tre diversi generi di sentimenti: disgusto, rabbia, frustrazione.
Disgusto.
È un concentrato di tutto quello che ho sempre odiato. Voglio dire, non il film come prodotto della creatività umana, ma l'oggetto del film, il mondo all'interno del quale ha indagato.
In fondo è grazie a quel mondo, che sono quel che sono. Nel senso che mi sono avvicinato a idee politiche progressiste e al marxismo proprio come rifiuto di quel mondo, rifiuto emozionale, perché suscitava e continua a suscitare in me i sentimenti sopramenzionati e rifiuto intellettuale, perché sentivo il bisogno di criticarlo attraverso l'uso della Ragione, quella stessa che viene umiliata dalle trasmissioni della De Filippi o della Ventura. Spesso mi sono sentito rispondere che ci sono cose più importanti, come la povertà o le guerre, solita ipocrita giustificazione dell'ingiustificabile. Tuttavia quel mondo non è qualcosa di distaccato dalla povertà e dalle guerre, ma vi è profondamente connesso, come dire, l'altra faccia, dello stesso sistema.
Non sono mai riuscito a capire come si faccia a considerare “arte” un film dei Vanzina, “cultura” un programma a quiz, “approfondimento” una puntata del “Maurizio Costanzo Show”.
Il disgusto dovrebbe essere una cosa spontanea. Se si vede un branco di attorucoli e attricette o di divetti caduti in disgrazia alla disperata ricerca di una qualche forma notorietà, fosse anche una che li metta in ridicolo di fronte a milioni di spettatori, rotolarsi nel fango o mangiare vermi su un'isola deserta (o resa deserta appositamente) dovrebbe sorgere un naturale senso di nausea in qualunque essere umano sano di mente, similmente alla nausea che si prova, così dicono, di fronte ad un cadavere mutilato. Vuol dire che c'è qualcosa dentro di noi che ci avverte che quello che stiamo vedendo non è bello, non è accettabile, non deve far parte delle nostra quotidianità e quindi deve essere respinto ad ogni costo. Così come questo senso di malessere ci avverte che l'assassinio di un altro essere umano dovrebbe essere evitato, dovrebbe avvertirci di fronte all'umiliazione della propria o altrui dignità, l'offesa dell'intelligenza umana, l'attentato alla sanità psichica di tenerci lontani da simili oscenità. Quando questo malore non si avverte, quando non proviamo nessun disagio di fronte a certe scene, quando non si realizza in noi il momento negativo, per dirla alla Hegel, vuol dire che c'è qualcosa che non va. Ma questa volta non solo in ciò che si sta guardando, ma anche in colui che guarda, non solo nell'attore, ma anche nell'agito, non solo nell'oggetto, ma anche nel soggetto. Il soggetto, evidentemente, si è assuefatto all'oggetto che subisce e finisce per considerarlo parte della sua quotidianità, proprio ciò che non dovrebbe fare, così finisce per farsene una ragione e dunque il malessere sparisce. Ma non perché la causa sia sparita. Siamo in un palese caso di cura sintomatica: vengono eliminati solo i sintomi ma la malattia esiste ancora e continua a nuocere. Nuoce senza che noi ce ne accorgiamo, forse persino con nostro superficiale gradimento, come avviene durante l'assunzione di sostanza stupefacenti. E il disgusto sparisce. Certe malattie forse un sano non può comprenderle. Così io non comprendo come sia possibile non solo affondare nella merda, ma persino sguazzarci dentro e mangiarne a pieni bocconi per poi chiederne dell'altra. Non comprendo come sia possibile che delle persone vogliano diventare delle puttane televisive cui si richiede solo la pubblica esposizione del loro corpo e nessuna forma di partecipazione intellettuale, fosse anche per guadagnare miliardi di euro. Non comprendo come sia possibile che delle persone, quelle che magari incontri tutti i giorni per strada, quelle con cui ti fermi a chiacchierare, possano pagare il biglietto per assistere allo show di un delinquente che si chiama Fabrizio Corona senza prenderlo a pedate e poi elemosinare con la bava alla bocca un autografo, o una fotografia insieme, col sorriso ebete, come se si fosse realizzato il sogno della loro vita. Non comprendo come si possa andare in Costa Smeralda per vedere gli yacht o per sperare di immortalare qualche celebrità con la macchina fotografica.
Di fronte a tutto questo il mio disgusto sale. Nel vedere un branco di porci sguazzare nel fango provo disgusto. Ma se vedo che quei porci sono acclamati più di qualunque martire, eroe, intellettuale o scienziato, allora il mio disgusto raggiunge livelli quasi intollerabili.
Ed è qui che subentra il secondo sentimento.
Rabbia.
Perché di fronte a un giovane che vive in funzione della televisione, non nel senso che la guarda soltanto, ma nel senso che vorrebbe entrarci, vorrebbe far parte di quel sistema, vorrebbe diventare uno dei tanti miseri, ridicoli e pietosi divetti che strillano e strepitano per un posto in prima fila, mi vien la voglia di andare da quel ragazzo e gridargli nelle orecchie, con tutto il fiato che ho in gola, che è un fottuto idiota. Proprio così. Non è cattivo, non c'è nessuna malizia in lui, ne sono convinto. È solo stupidità allo stato puro. Mancanza di coscienza critica, gli direi se fosse capace di capirne il significato.
Provo rabbia e oggi non è facile. Perché non è facile conoscere la causa della propria rabbia e far sì che la sua causa e il suo oggetto, cosa la provoca e ciò contro cui è diretta, siano la stessa cosa. Non è facile perché la rabbia cercano di incanalarla verso oggetti diversi dalla causa, di scaricarla addosso al capro espiatorio, di disinnescarla e quindi, in sostanza, di distruggerla. Spesso ci si domanda perché si stuprano le donne, perché si ammazzano i genitori o i figli, perché si aggrediscono gli extracomunitari, perché si pestano gli omosessuali, perché si incendiano i barboni. A queste domande si possono dare mille risposte, ma quella vera, quella fondamentale, quella che le riassume tutte, io credo è una sola: non siamo capaci di gestire la rabbia. Non sappiamo contro chi scagliarla. E quindi a gestirla e a scagliarla non siamo noi, sono coloro che l'hanno provocata e che non vorrebbero vedersela ritornare indietro come un boomerang. Quindi questa rabbia viene scagliata contro coloro che non possono ribellarsi, contro coloro che non possono dire di esseri innocenti. Viene scagliata dagli urlatori contro chi non ha voce, dai teleimbonitori contro chi non appare, contro gli invisibili.
La rabbia è una cosa divina. È un grande dono fatto agli esseri umani. La rabbia è un capolavoro, un'opera d'arte della natura. Sbaglia chi la demonizza, chi dice che va repressa o anestetizzata. La rabbia ha sempre ragione, se si impara ad ascoltarla.
L'oligarchia al potere ha sempre temuto la rabbia. Per questo ha tentato di soffocarla o quantomeno di lasciarla sfogare dove non potesse colpirla. Le religioni hanno avuto il compito di smorzare la rabbia. Di farla scemare, di mutarla in qualcos'altro, ma questo questo qualcos'altro era pur sempre rabbia. Sii umile, non alzare mai la voce, non ribellarti mai, porgi l'altra guancia, non curarti delle faccende terrene. La rabbia contro i potenti diventava allora rabbia verso se stessi e rabbia verso coloro che odiano se stessi. Ma quando questa rabbia verso se stessi tracimava, raggiungeva livelli non più tollerabili e diventava rabbia verso il potere allora c'erano le impiccagioni in pubblica piazza, o le feste comandate per farla sfogare e scaricare.
Oggi si può dire che il potere, attraverso la televisione, sia riuscito a smorzare la rabbia, ad attenuarla quantomeno se non a soffocarla del tutto. L'uomo ha subito un mutamento antropologico. La sua soglia di sopportazione si è alzata, non abbassata. Gli viene sbattuta in faccia ogni giorno la sua povertà e la sua miseria e chi specula su quella povertà, su quella miseria. Ma la rabbia non può scomparire e talvolta ricompare, magari dopo periodi di apparente tranquillità come è proprio di una personalità schizofrenica. E allora il potere ha inventato nuove cerimonie sociali. Nuovi riti collettivi per controllarla.
In questo film non viene fatto esplicito riferimento all'altra faccia della medaglia. Non sono presenti nelle immagini coloro che da quel mondo scintillante, ammiccante e frivolo sono esclusi. Non sono nominati i poveri. Non sono nominati i poveri tra i poveri. Può sembrare strano ma questo film mi ha fatto pensare agli immigrati. Essi sono al polo opposto rispetto alla televisione. In quest'ultima ci sono i divi, le persone “importanti”, i famosi, i ricchi, i potenti, coloro che sono acclamati dalle folle e che sono visti da tutti, gli inclusi. Dall'altra parte ci sono i clandestini, le persone che non contano nulla, che nessuno conosce perché sono stranieri, i poveri, i deboli, coloro che sono disprezzati dalla gente, e di cui nessuno si cura, gli esclusi. Ricordate quando era il momento degli sbarchi di albanesi in Italia? Dicevano di vedere la televisione italiana e di essere attratti dalle sue promesse. La delusione per loro deve essere stata cocente. E la rabbia grande. Loro sono esclusi. Non dalla televisione ma da tutto quello che la televisione controlla. Un immigrato in Italia non si fa più illusioni circa le promesse del potere. Ne sperimenta tutti i giorni la falsità. Un immigrato non può credere alla televisione. Un immigrato non può prendersela con nessuno che stia dopo di lui, perché dopo di lui non c'è nessuno. Un immigrato non può sfogare la propria rabbia contro gli esclusi, perché è lui l'escluso. Se solo gli immigrati potessero imparare ad usare la loro rabbia...
La rabbia mi fa pensare. Convulsamente, nervosamente. Guardando le riprese della villa megagalattica di Lele Mora penso. Penso che la sua villa si trova in Costa Smeralda, uno dei posti più belli del mondo. Penso che quel posto è stato strappato all'umanità da una combriccola di ricchi, speculatori, politicanti per poterla ricoprire dei loro abusi edilizi e dei loro festini a base di sesso, droga e immagine. E penso agli sbarchi di immigrati. Gli sbarchi che nessuno vuole, che tutti si affrettano ad allontanare. Ognuno tenta di scaricare su qualcun'altro l'incombenza di accogliere dei disperati. Penso. Gli immigrati provengono da paesi poveri. Paesi dove ville come quelle di Lele Mora esistono e chi ci vive si accaparra tutte le ricchezze, ma dove la gente muore per la fame, le malattie e le guerre. Penso che le ville siano sempre di più e che le ricchezze fuggano sempre da chi ne ha bisogno per concentrarsi presso chi ne ha sempre meno bisogno. Penso che i poveri aumentano e le malattie aumentano e le guerre aumentano. Penso che i poveri fuggano dai paesi poveri per andare verso i paesi ricchi. Penso che i poveri fuggano anche nei paesi ricchi per cercare di accaparrarsi le briciole lasciate dai ricchi.
Gli immigrati. Davvero il potere teme l'invasione? È solo un'invenzione della loro propaganda o c'è qualcosa di più? Penso alla villa di Lele Mora che si affaccia sul mare e ai barconi di immigrati stipati non come animali ma come merce, merce per di più indesiderata. Una villa tra ettari di vegetazione. Migliaia di uomini in pochi metri. E il cerchio si chiude. E capisco che in fondo i ricchi e i potenti temono davvero gli immigrati. E fanno bene.
Rabbia, immigrazione, povertà. Tutto questo fa una miscela esplosiva che giustamente combinata può dare risultati sconvolgenti e terrificanti.
Lele Mora forse non ha paura mentre ospita decine di aspiranti star. Mentre osserva l'orizzonte e il mare non teme di scorgerci una nave stracolma di esseri umani. Ma chissà! Basterebbe un puntino, piccolo, microscopico a confronto della sua villa, a fargli sorgere un dubbio. Basterebbe che poi quel puntino si ingrossasse sempre di più sino a diventare una palla da golf, e allora il suo cuore comincerebbe ad accelerare i battiti. Basterebbe che la palla da golf crescesse fino ad assumere la forma affusolata di un imbarcazione e allora il suo cuore si metterebbe a battere all'impazzata, senza che lui possa controllarlo. Basterebbe che quella imbarcazione indefinita divenisse una nave fatta di metallo, forte, imponente, perché il suo sudore imbratti la camicia di seta bianca e gli imperli la fronte. E mentre la goccia di sudore gli scende lungo la guancia grassoccia, la nave di metallo è già diventata una nave umana, di tanti colori quante sono le carnagioni. La nave ora è un gigante che sovrasta la sua villa, fatto da centinaia di esseri umani, molti di più di quelli che prendono il sole ai bordi della sua piscina, molto più affamati, molto più disperati e molto più arrabbiati. Già si sentono le prime grida. E a questo punto le vene del suo collo iniziano a palpitare quasi dovessero scoppiare, le sue mani tremano come non hanno mai tremato, il bicchiere di cristallo scivola dalle sue mani lisce e sudate e si infrange in mille pezzi contro il suolo.
Cosa prova un ricco che ha paura? Lo stesso che provò Luigi XVI prima di venire ghigliottinato, lo stesso che provò Maria Antonietta quando le donne del popolo invasero Versailles.
È il momento in cui gli odori e gli umori dei ricchi e dei potenti si mescolano con quelli dei poveri e dei non più deboli.
Frustrazione.
Capisco che tutto questo, per ora, è un sogno, una fantasia, un'utopia. Capisco che, per ora, le coste private sono presidiate dalla Guardie che difendono la proprietà ed offendono la vita. Capisco che, per ora, le navi umane sono lontane dalla villa di Lele Mora. Capisco che Lele Mora, per ora, non teme nessuna nave. E questa è la frustrazione. La rabbia che non trova uno sbocco, una risoluzione, che non ha un oggetto su cui fermarsi, un punto d'appiglio, una speranza. La rabbia è negata dalla realtà.
La frustrazione ti assale quando vedi il deserto intorno a te, anche se quel deserto lo riempiono di corpi nudi abbronzati e di luci abbacinanti.
La frustrazione ti assale quando vedi la rabbia, tua e degli altri, svanire, disperdersi in mille rivoli, diradarsi, evaporare, senza capire bene in che modo. La rabbia non scompare del tutto. Ma ha perso quello slancio, quella forza propulsiva. Al sogno subentra la realtà. E ti accorgi che il Fronte della Rabbia si è disciolto. Non esiste più da diversi anni. Il Reale ha sconfitto il Razionale. Ma prima ancora ha sconfitto la rabbia e quindi il sogno.
Un tempo, mi dicono, prima che io nascessi, si poteva sperare per il fatto che non c'era il deserto. Un tempo si poteva sperare perché gli operai protestavano. Un tempo si poteva sperare perché i sindacati non concertavano. Un tempo si poteva sperare perché gli operai non avevano patria. Un tempo si poteva sperare perché c'era sempre qualcuno pronto ad aiutarti. Un tempo si poteva sperare perché c'era la rivoluzione cubana. Un tempo si poteva sperare perché la gente era più sincera. Un tempo si poteva sperare perché c'era il Sessantotto. Un tempo si poteva sperare perché c'era il posto fisso. Un tempo si poteva sperare perché c'era il Partito Comunista. Un tempo si poteva sperare perché esisteva il Grande Rifiuto, c'era qualcosa capace di incarnarlo, di profetizzarlo, di praticarlo. C'era la capacità di non compromettersi. Si poteva sperare. Si poteva.
Nell'Italia di Berlusconi, che prima di essere quella del conflitto di interessi, della corruzione legalizzata, delle connivenze mafiose, delle menzogne, dei ricatti, delle raccomandazioni, prima ancora di essere tutto questo è l'Italia che guarda le sue televisioni e che ne è forgiata, plagiata fin nel suo intimo, in questa Italia, si spera di fare fortuna, di vincere la lotteria e diventare ricchi, di far carriera ai danni del proprio “collega”, quello che un tempo si chiamava “compagno”, si spera di aver la raccomandazione giusta per piazzare il proprio figlio, si pensa solo a se stessi, alla propria famiglia tutt'al più, si vive nel proprio mondo minuscolo infischiandosene di quello che succede intorno. Si spera di diventare veline e magari trovarsi un giorno nella villa di Berlusconi.
So che credere nella sinistra, nel comunismo, diventa inutile se non si trova una forma per realizzare concretamente questi ideali. E allora il disgusto, la frustrazione, la rabbia devono fondersi e mutarsi in odio. Odio verso quel mondo e ciò che lo ha prodotto. Bisogna saper odiare.

venerdì 9 ottobre 2009

I poveri esistono


Sembravano una categoria mitologica, come i centauri, le sirene o gli unicorni, stando a quello che si vede sulle nostre televisioni o si legge sui nostri giornali. Un paese che non ha altri problemi se non quello delle gaffes del suo presidente, che non si pone altre domande se non di quale parte politica sia la magistratura o che non ha altri impegni se non quello di punire gli impiegati scansafatiche. Un paese così prospero che si può permettere persino di pagare stipendi a chi non lavora, e che regala miliardi di euro a calciatori e veline, nonché a manager incapaci.
Poi ogni tanto sbucano fuori, da un articolo di giornale, disperso tra le mille diatribe più e meno inutili che affollano i quotidiani nostrani o da un'inchiesta televisiva sopravvissuta al “Grande Fratello” e ai varietà scintillanti che brulicano sui teleschermi.
Sono i poveri. Degli esseri invisibili, che si aggirano per le città opulente senza essere visti dai ricchi o dai finti ricchi che tentano la scalata. Sono come i prolet di George Orwell, abitanti silenziosi distanti dai problemi quotidiani degli amanti della libertà di stampa e di espressione, sepolti e nascosti dalla propaganda martellante che descrive un mondo patinato ed elitario.
Ogni tanto qualcuno se ne accorge. I poveri esistono. Percorrono le stesse strade, ma con auto scassate o anche senza nessun'auto, vanno a lavoro ma non sempre perché può anche darsi che il lavoro non ce l'abbiano, si divertono ma raramente, perché non c'è nulla di divertente nella fame, si sposano, ma senza cerimonie e banchetti pantagruelici, hanno figli che vanno a scuola e studiano, forse, ma fino a un certo punto perché le università non sono alla loro portata. Sono intorno a noi, in molti casi siamo proprio noi. I poveri.
I poveri non vanno mai di moda. Non finiscono sulle pagine dei giornali o nella prima serata di qualche programma demenziale. Un barbone non è chic. Un disoccupato non è abbastanza figo. Un operaio in cassa integrazione non fa abbastanza audience.
Nel “bel paese” poi nessuno può pensare ai poveri, se non i poveri stessi. Nel “bel paese” non esistono i poveri, ovvero, i poveri sono nulla, una nullità. Sono al massimo poveri di un altro mondo, extraterrestri atterrati provenienti dalla luna. La povertà non è un affare che ci riguarda, è una cosa da “Terzo Mondo”. Si mandano SMS di beneficenza ai poveri del “Terzo Mondo” per poterli continuare a ignorare.
Ma capita che a volte qualcuno scopra che i poveri sono anche qui, che il Terzo Mondo è in Europa e in Nord America. I poveri esistono.
Secondo l'Istat in solo in Italia sono 2 milioni e mezzo, il 13,1% della popolazione, Al Sud diventano il 22,7%. Bene, si dirà, il restante 76,9% non è povero. E invece no, perché quella misurata è la povertà assoluta, quella cioè per cui non si hanno abbastanza soldi per fare la spesa, per mangiare. Poi c'è un'altra povertà, forse meno evidente, quella detta relativa, cioè di coloro i cui consumi sono al di sotto della media pro capite nazionale.
Magari molti di questi vengono anche considerati parte della famosa e favolosa classe media.


Fonti:

http://www.repubblica.it/2006/10/sezioni/economia/istat-poverta/istat-poverta/istat-poverta.html

mercoledì 7 ottobre 2009

La legge è uguale per tutti


Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
Art. 3 della Costituzione italiana.

È l'articolo violato dal Lodo Alfano assieme al 138 come stabilito dalla Corte Costituzionale.
Un atto dovuto perché era palese l'incostituzionalità di un provvedimento ad personam che discriminava tra i cittadini italiani e le quattro massime cariche dello Stato.
Un provvedimento che aveva la sola finalità di bloccare i processi che vedono coinvolto il presidente del Consiglio, quello sul caso Mills, l'avvocato di Berlusconi, già condannato perché corrotto da quest'ultimo per giurare il falso, e il caso Mediaset sui diritti tv.
Berlusconi ha dichiarato che i giudici della Consulta sarebbero tutti di sinistra, ipotesi assurda visto che è stato qualche mese fa ospite di uno dei magistrati della Corte, proprio nel periodo in cui si discuteva del Lodo (v. "Toghe Azzurre".)
Timidi i commenti dell'opposizione tranne l'Italia dei Valori che chiede le dimissioni del presidente del consiglio. Il pd è inspiegabilmente molto cauto, si tratterebbe di una sentenza senza conseguenze politiche, e si rifiutano di chiedere le dimissioni del premier, nonostante per la terza volta questo governo abbia tentato di far passare leggi palesemente incostituzionali e perfino anticostituzionali, perché contrari allo spirito stesso della Carta. Sembrano dimenticare quelli del pd i processi in cui è coinvolto Berlusconi non da privato cittadino ma da capo di governo, cosa anche questa assai distante dallo spirito del dettato costituzionale. Del resto non ci si potrebbe aspettare altro da chi ha già salvato questo governo dalla caduta inevitabile come abbiamo già denunciato in questo post.
Il Pd sembra in qualche modo dare segni di vita solo quando la maggioranza ha l'ardire di attaccare il Capo dello Stato, per la sua presunta parzialità. Ora se parzialità c'è stata da parte del Quirinale non è stata certo a sfavore del governo visto che Napolitano avrebbe avuto tutto il diritto e il dovere di non firmare il Lodo, come tante altre leggi, cosa che puntualmente ha omesso di fare col bizzarro argomento che il parlamento l'avrebbe riapprovato. Forse il parlamento sì (Napolitano non ha certo la palla di vetro per esserne sicuro) ma la Consulta no, come si è visto, è non firmarlo avrebbe spianato il lavoro della Corte, che invece, stando così le cose ha dovuto schierarsi anche contro il Presidente della Repubblica, per l'inettitudine di questi.
Insomma i presupposti ci sono tutti per chiedere le dimissioni non solo del capo di governo ma anche del Capo dello Stato che non si è dimostrato all'altezza del delicato compito affidatogli di farsi garante della Costituzione, avendo liquidato proprio il ruolo che ricopre previsto dall'ordinamento repubblicano con la bizzarra e decisamente inopportuna frase “tanto la riapprovano”. Tanto varrebbe, se è questa l'opinione di Napolitano dell'incarico che ricopre, che si dimetta, perché è evidente la sua mancanza di capacità e di volontà di esercitare i poteri di cui legittimamente dispone, come confermato da questa stessa sentenza.
Le conseguenze politiche ci sono eccome, perché non si può impunemente tentare di violare uno degli articoli portanti della Costituzione senza conseguenze, forse l'articolo più importante, che stabilisce l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, l'essenza stessa della democrazia. E perché questo è stato solo l'ultimo di una serie di tentativi di scardinare la Carta fondamentale, e perciò l'ordinamento democratico. Perché un capo di governo è per la prima volta nella storia italiana sotto processo e per la prima volta ha tentato di sfuggire ai processi che lo riguardano con una legge mirata, senza preoccuparsi della sua legittimità.
La sentenza della Consulta è provvidenziale perché stabilisce un principio inderogabile delle nostre istituzioni, un principio che non può essere scavalcato senza provocare gravi danni al funzionamento della giustizia e della democrazia stessa.

lunedì 5 ottobre 2009

L'opposizione non esiste


Ne abbiamo avuta l'ennesima e malaugurata riprova. L'approvazione dello “scudo” (o meglio il condono) fiscale per il rientro dei capitali illecitamente esportati, che pagheranno ora una quota puramente simbolica, è stata possibile anche grazie ai parlamentari che in teoria rappresenterebbero l'opposizione. Sono mancati 22 deputati del Pd, 6 dell'Udc e 1 dell'Idv. E non sarebbe neanche particolarmente grave se non fosse che sul voto il governo aveva posto la fiducia e che se non fosse passata sarebbe finita la legislatura. Per soli 20 voti è passato questo insulto allo Stato e ai contribuenti onesti, nonché alla nostra Costituzione. Non solo, ma per soli 20 voti, quelli del Pd mancanti, il governo non è caduto.
Ora in un paese, non dico democratico, ma quanto meno con un minimo di etica politica l'opposizione dovrebbe per prima cosa cercare di far terminare, ove possibile, la legislatura e il governo degli avversari nel più breve tempo possibile, per sostituirsi ad essi il più a lungo.
Invece in Italia accade il contrario. Quando è al governo il centrosinistra le inventa tutte per farlo cadere, bicamerali, mancato rispetto degli accordi tra alleati, della volontà di chi li ha eletti e continue minacce da parte dei loro politici di togliere la fiducia.
Dopo che questa tattica ha avuto successo, e quindi una volta che si torna a votare, il maggior partito di centro(sinistra?) le inventa tutte per perdere le elezioni: auspica un improbabile dialogo con il proprio avversario colluso con la mafia, e ne rifiuta un altro con le poche forze di sinistra ancora esistenti, non nomina nemmeno “il principale esponente della coalizione avversa” e candida personaggi a dir poco discutibili. Alla fine riesce nel suo intento. Perde le elezioni. Ma non finisce qui. Una volta meritevolmente all'opposizione ce la mette tutta per far sì che i propri avversari restino al governo il più a lungo possibile e così arriva a negar loro la meritata sfiducia. Si può dire che i partiti al potere ormai da troppo tempo abbiano fatto l'impensabile per distruggere l'Italia, tra favori alla mafia, corruzione, censure, razzismo e persino uno scandalo a sfondo sessuale. Ma è stato tutto inutile, i nostri non demordono e imperterriti continuano a salvare i loro avversari da un quanto mai provvidenziale declino.
Dopo quanto accaduto, che ha del surreale, sorge spontanea la domanda: ma esiste in Italia un'opposizione? I fatti dovrebbero farci concludere che no, non esiste affatto. Semmai esiste una maggioranza che governa e una minoranza che guarda chi governa pronta a correre in aiuto della maggioranza quando questa si trova in difficoltà.
I fatti parlano chiaro: il miglior alleato di Berlusconi non è la Lega, non è la Chiesa e nemmeno la massoneria che pure ne ha spianato la scalata sociale, ma il Partito democratico. Non è la prima volta che accade. Qualche giorno fa infatti si era votato sulla pregiudiziale di incostituzionalità dello “scudo” (o condono) fiscale, le pregiudiziali non passarono neanche allora, per 27 voti di scarto. Mancarono allora alla Camera 70 deputati, che hanno permesso così l'approvazione di un provvedimento “salva-evasori”. Alla notizia i giornali non hanno dato molto risalto forse per l'assenza di alcuni nomi importanti. Noi riportiamo la lista di chi è mancato di seguito:


59 esponenti del PD

1. Argentin
2. Bersani
3. Boccuzzi
4. Boffa
5. Bucchino
6. Calearo Ciman
7. Calgaro
8. Capodicasa
9. Carra Enzo
10. Ceccuzzi
11. Cesario
12. Codurelli
13. D’Alema
14. Damiano
15. D’Antoni
16. De Micheli
17. Esposito
18. Fiano
19. Fioroni
20. Franceschini
21. Gaglione
22. Garofani
23. Giacomelli
24. Gozi
25. La Forgia
26. Levi
27. Lolli
28. Losacco
29. Maran
30. Marchignoli
31. Martino Pierdomenico
32. Meta
33. Mogherini Rebesani
34. Mosella
35. Picierno
36. Pistelli
37. Pollastrini
38. Pompili
39. Porta
40. Portas
41. Realacci
42. Rosato
43. Sani
44. Servodio
45. Tenaglia
46. Turco Livia
47. Vaccaro
48. Vassallo
49. Vernetti
50. Villecco Calipari
51. Zampa

IN MISSIONE

52. Bratti
53. Bindi
54. Cavallaro
55. Farina
56. Lusetti
57. Mecacci
58. Migliavacca
59. Rigoni

8 esponenti del UDC

1. Cesa
2. Ciccanti
3. Drago
4. Galletti
5. Mannino
6. Pisacane

IN MISSIONE

7. Volontè
8. Buttiglione

2 esponenti del IDV

1. Barbato
2. Cimadoro



Come vedete non si tratta di esponenti di secondo piano, ma di dirigenti di alto livello, tra cui i candidati alla segreteria del Pd Franceschini e Bersani. Ora questi sono coloro che dovranno guidare il principale partito d'“opposizione”, coloro che hanno contribuito a salvare gli evasori fiscali facendo quindi un favore anche a Berlusconi che ha un conto in una banca svizzera sotto indagine come fu rivelato qualche tempo fa dall'Espresso.
Spero che tutto ciò sia sufficiente per convincere il lettore a non riporre più nessuna fiducia in questa gente e a non illudersi che ci possa essere un miglioramento seppur lieve rispetto alla destra. Il “voto utile” non esiste, perché non esiste in parlamento una forza realmente alternativa a Berlusconi, perché quello che dovrebbe essere il principale partito di opposizione è invece il maggiore alleato della maggioranza, quello che l'ha sempre aiutata e sostenuta nei momenti di difficoltà, nonostante le chiacchiere che i suoi politici diffondevano ai giornali.
Credete che sia ancora il caso di manifestare con questa gente per una libertà che costoro non hanno mai difeso, e anzi hanno sempre ostacolato?
Rivolgo perciò un appello a chiunque sia capitato su questo blog perché:

  • Diffonda la lista degli assenti o attraverso internet o con altri mezzi.
  • Non voti in nessuna elezione in futuro, locale o nazionale, né per il PdL, né per l'Udc, né per il Pd, né per qualsiasi lista o partito alleati con uno di essi.
  • Voti per partiti o liste minori che attualmente non sono presenti in parlamento, quali lascio ovviamente a lui deciderlo.
  • Diffonda questo appello ovunque possibile.

Fonti: