giovedì 1 ottobre 2009

La sconfitta storica della socialdemocrazia


Le elezioni tedesche hanno ribadito un'altra volta la sconfitta della socialdemocrazia e del suo paradigma politico-economico. Il voto ha sancito la caduta disastrosa per il SPD, un arretramento dei conservatori della CDU e una clamorosa avanzata della Linke, la sinistra del parlamento tedesco, che, assieme ai liberali, è la vera vincitrice di queste consultazioni, raggiungendo il 12% dei consensi.
La socialdemocrazia europea ha cominciato la sua parabola come braccio politico del movimento operaio, manifestando nelle sedi istituzionali l'ascesa del proletariato a promotore di progresso sociale. Originariamente la socialdemocrazia aveva la sua base dottrinale nel marxismo, in particolare nell'interpretazione di Engels e Kautsky, che le permise di conciliare la teoria rivoluzionaria con la pratica riformista. I meriti storici della socialdemocrazia sono innegabili, poiché rappresentò l'opportunità per i lavoratori di far sentire la loro voce in quelle sedi che erano appannaggio della sola borghesia. Riconoscere la parte della socialdemocrazia (compresa quella dei partiti comunisti dell'Europa occidentale che di fatto adottarono una chiara impostazione socialdemocratica come avvenne in Italia e in Francia) nei miglioramenti della condizione sociale dei lavoratori non significa disconoscerne il rovescio della medaglia, ovvero la “stabilizzazione” della classe operaia, la sua accettazione dello status quo e la perdita progressiva di qualsivoglia coscienza rivoluzionaria.
Dobbiamo distinguere due fasi. In una prima, quella della socialdemocrazia “storica”, che va dalla fine dell'Ottocento fino al Dopoguerra, seppur viene accettata una prassi politica interna alle istituzioni sociali capitalistiche esistenti, viene pur sempre teorizzata la necessità di un rovesciamento contro la borghesia in grado di superare il modo capitalistico di produzione come coronamento dell'avanzata del proletariato. Ciò non escludeva temporanee convergenze con la parte più progredita della borghesia e questo si traduceva politicamente in alleanze e governi “misti” cui i socialdemocratici prendevano parte, o avrebbero dovuto prender parte, assieme ai partiti moderati.
La seconda fase, invece, quella “classica” inaugurata negli anni Sessanta, vede l'abiura dei tradizionali principi del marxismo che fino ad allora avevano indirizzato l'azione politica riformista e che le davano un senso inquadrandola in un'ottica complessa e in un progetto di trasformazione a lungo termine. In questa fase l'accettazione di fatto dell'assetto capitalistico viene depurata dall'aspirazione, pur rimandata ad un futuro imprecisato, a superarlo, e viene così a cadere la dottrina marxista come teoria portante, si può dire, di tuttala sinistra europea. Ma perdendo un fondamento dottrinale così forte, così raffinato sul piano intellettuale e, soprattutto, capace come non mai, e in questo ineguagliato, di analizzare l'assetto borghese della produzione, viene a mancare alla socialdemocrazia ogni chiaro indirizzo e obiettivo politico e sociale a lungo termine, riducendosi in pratica a una mera variante “di sinistra” del liberalismo progressista.
Purtuttavia permane un approccio all'economia di mercato, con un accento più “pessimistico” rispetto ai nuovi parenti liberali, che vedevano i socialdemocratici impegnati quantomeno a porre un freno al capitalismo e a continuare a proporre parti del loro programma tradizionale, come le nazionalizzazioni e il ruolo attivo dello Stato in economia che li mantenevano ancora assai distanti dal liberismo “puro”.
Tuttavia anche questa seconda fase è giunta al termine alla fine della anni Ottanta e all'inizio dei Novanta, quando si è fatta strada tra le file socialdemocratiche una completa fiducia nell'economia di mercato, che ha fatto abbandonare qualsiasi progetto di nazionalizzazione di importanti comparti economici, limitandosi alla mera difesa di tutele sociali già acquisite. Dobbiamo quindi aggiungere una terza fase, che chiameremo “post-socialdemocratica” in cui si assiste all'abbandono anche dell'ultima influenza della teoria marxista, e delle venature “scettiche” nei confronti del sistema economico. Ciò ha reso l'atteggiamento dei partiti socialdemocratici identico, se non nominalmente, sicuramente de facto, a quello del liberalismo sociale – anche questo assai stemperato nel tempo, a dire il vero – che propone la conciliazione del “libero mercato” con garanzie sociali per il lavoro.
Il ruolo dello stato naturalmente ne esce fortemente ridimensionato. Da attore e principale interprete dell'economia nazionale e “redistributore” di ricchezza a mero palliativo dei “mali necessari” del capitalismo, o finanche ad agenzia di second'ordine di quest'ultimo, suo “risvolto umano”.
Un marxista sa che lo stato borghese interviene nei momenti di difficoltà del capitalismo, aiutandolo a superare (senza però mai risolverle definitivamente) crisi strutturali, come dimostra l'attuale intervento dei governi a favore della grande industria e della grande finanza contro ogni rischio di collasso interno. Questa situazione però invece di rivolgersi contro la pratica e la teoria liberista e in definitiva contro la società borghese ha finito per rafforzarla, proprio grazie a quella “sinistra” organica al capitale che fa “il lavoro sporco” che non può svolgere la sua controparte conservatrice, la quale deve difendere un “purismo” teorico di facciata. Stiamo assistendo a questo processo durante il governo Obama con l'iniezione di liquidità a favore di banche e imprese. Il capitalismo aveva bisogno di essere salvato in un momento così critico, e per farlo non poteva andare tanto per il sottile, continuando a proporre teorie fallite sul “libero mercato” e la “libera concorrenza”, per questo c'era bisogno di un progressismo di facciata che giustificasse l'intervento statale, di contro a decenni di politiche di orientamento opposto. Questo intervento non è andato a vantaggio dei lavoratori, ma ha soltanto sostenuto il profitto lasciando intatti i rapporti di produzione, ed anzi rafforzando l'egemonia del capitale ed indebolendo i salari.
In Europa spesso non c'è stato bisogno di questo “restauro d'immagine” possedendo la destra già un'ideologia in qualche modo “sociale” che le permette di giustificare uno statalismo inconcepibile negli Usa (è il caso della destra francese e del gaullismo o della cristiano-democrazia tedesca).
Che ruolo ha in tutto questo la socialdemocrazia? Col suo ultimo approdo all'economia di mercato ha legittimato “da sinistra” la privatizzazione di importanti settori e la dismissione di tutele sociali cui essa stessa aveva contribuito ad ottenere e nello stesso tempo col suo retaggio storico diventa il bastone del capitalismo nei momenti di difficoltà, pronto ad essere usato e gettato all'occorrenza.
Si può dire che questo percorso fosse contenuto in embrione già agli albori della socialdemocrazia quale sua possibile deriva. La soluzione di permettere una pratica riformista quale momentanea necessità da abbandonare non appena il proletariato conquistasse il potere ha permesso da un lato di rafforzare la propria presenza nelle istituzioni e di permettere importanti migliorie e riforme sociali a vantaggio dei lavoratori, dall'altro però è stato sempre presente come una spada di Damocle che pendeva sulla testa ad ogni riforma e ad ogni compromesso, la possibilità paventata più volte nella storia, e poi fatalmente realizzatasi, di un'abiura. La socialdemocrazia ha per così dire demolito quel muro sottile che la separava dal suo nemico, ha tradito le ragioni storiche del movimento operaio e ha “venduto l'anima” al capitale.
Il procastinare una prassi rivoluzionaria può essere un bene per un tempo relativamente breve, ma quando si prolunga eccessivamente rischia di essere una rinuncia definitiva, una capitolazione, come poi effettivamente è avvenuto. Le prime avvisaglie si erano già avute con i vari “revisionismi” che avevano attraversato la socialdemocrazia, da Bernstein al neokantismo, lasciandola in un primo tempo, ma solo apparentemente, indenne, e finendo in fine per avere la meglio, seppure in una veste assai meno elegante rispetto ai loro esordi.
Quella della socialdemocrazia è una sconfitta senza appello, perché già nella sua svolta vi è l'anticipazione del proprio destino. L'accettazione del sistema sociale che aveva sempre in passato aspramente criticato e di cui ne aveva auspicato il superamento è una resa definitiva, per quanto possa permanere un certo “scetticismo” nei confronti del mercato, perché si limita a spostare il proprio orizzonte storico dall'esterno all'interno del capitalismo rendendolo organico ad esso, ed anzi finendo per legittimarlo. La socialdemocrazia non ha soltanto abbandonato la rivoluzione, l'ha uccisa, perché l'avallo dell'utopia liberale di una conciliazione, o anche solo di un compromesso, non propedeutici a una futura rottura, ma definitivi, delle ragioni del lavoro con quelle del capitale significa la condanna, la scomunica di ogni prospettiva rivoluzionaria da parte dell'alfiere storico del movimento operaio europeo.
Se tutto è risolvibile “all'interno” dello status quo, ogni differente programma politico diventa un mero cambio di prospettiva, perché tutti, conservatori e progressisti, liberali e socialdemocratici operano per uno stesso fine che è la conservazione di un sistema sociale che sancisce lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
Quella che Marcuse chiamava “la chiusura dell'universo politico” opera però non a favore, ma contro ogni forza progressista, tranne di quelle che trovano il modo per marcare una distanza, una differenza, una rottura significativa, per quanto questa rottura sia astratta e non ancora capace di concretizzarsi nella realtà. La vittoria della Linke e il crollo della Spd sono la traduzione immediata di questo fenomeno, perché i lavoratori hanno intuito che la socialdemocrazia, o il social-liberalismo, non sono in grado di rappresentare i suoi interessi come classe, essendo contigui a quel sistema che li opprime. Ecco perché il loro atteggiamento è quanto meno scettico nei loro confronti.
Dobbiamo perciò registrare la sconfitta in Europa non della sinistra tout court ma di quella sinistra che ha partecipato a governi che hanno tradito le aspirazioni dei lavoratori, come la Grande Coalizione, o il governo laburista britannico o quello di centrosinistra in Italia.
Il paradigma socialdemocratico, esaurita la spinta propulsiva, è giunto alla sua fatale capitolazione, ma questo può essere un'opportunità per il proletariato perché apre ad esso nuove strade da ricercarsi in una teoria e in una prassi magari più distanti dalle istituzioni politiche per un certo tempo, ma più vicine alle sue attuali esigenze, maggiormente capaci di rappresentare un'alternativa all'attuale sistema sociale, e forse, in definitiva, anche più efficaci nel perseguire i suoi obiettivi, non ancora realizzati, eppure ancora da realizzare.

8 commenti:

  1. Il fatto è che se guardiamo a sinistra, qui in Italia, lo spettacolo è desolante e il settarismo imperante.

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  2. Come probabilmente avrai visto, anch'io ho postato su questo argomento. Trovo però sorprendete che tu la poni come se la causa di tutto ciò stai nella specifica politica della socialdemocrazia. La verità è che i partiti conservatori hanno costretto la socialdemocrazia a inseguirli. La mia conclusione è quindi ancora più drastica: oggettivamente, e quindi non per un errore di strategia politica, non c'è più spazio politico per la socialdemocrazia e si impone una radicalizzazione nelle posizioni di sinistra

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  3. Alberto, il fatto è che qui in Italia non esiste nemmeno un partito che si richiami alla socialdemocrazia poiché il pd ha deciso di chiudere ogni legame con la sinistra e il socialismo.

    Vincenzo, tu dici che i conservatori hanno "costretto" i socialdemocratici, io invece dico che questi ultimi sono caduti nella trappola e hanno pensato che spostandosi su posizioni moderate potessero guadagnare consensi. Così non è stato, ed è per questo che la socialdemocrazia ne è uscita sconfitta.

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  4. Risultato finale dopo l'exploit della linke e la debacle dell'spd? Liberali al potere e privatizzazione della sanità ed altre chicche simili.
    C'è da gioire...

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  5. Russo, innanzitutto credo che in Germania neanche un governo di destra possa privatizzare la sanità. Comunque se i liberali sono al potere la colpa non è certo della Linke, ma della Spd che ha accettato la Grande Coalizione e rifiutato un accordo con la Linke che allora era il male assoluto. Risultato? crollo della Spd, come era facile immaginare. La deriva moderata dei socialdemocratici non poteva che rivolgersi contro di loro e siccome in Germania la sinistra esiste e lotta questa situazione ha favorito la Linke e questo potrà anche spostare più a sinistra l'asse della Spd, insomma, non tutti i mali vengono per nuocere, a patto che i dirigenti socialdemocratici sappiano trarre il giusto insegnamento da questa sconfitta cosa che in italia il pd (che non è nemmeno socialdemocratico) non ha saputo e voluto fare.

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  6. Anche dal tuo ultimo commento, traspare la vocazione minoritaria della sinistra dura e pura italiana. In Germania, non c'è nulla che la SPD possa imparare, tranne che sciogliersi nella Linke. Quello che io intendevo dire era appunto che la sinistra radicale, in Germania, dove esiste, ed in Italia, dove è tutta ancora da inventare, dovrebbero proporsi come la nuova forza che vuole governare l'Europa, ed è a sè che deve affidare la soluzione dei problemi. Leggo nell'impostazione che tu ne dai una sostanziale delega alla "mamma democrazia" del compito di governare, lasciando alla vera sinistra il ruolo di una specie di coscienza critica del governo: questo lo ritengo profondamente sbagliato.
    Per quanto riguarda il fatto di compiacersi o no dei risultati, in politica non contano gli stati d'animo: conta capire e prendere le iniziative adeguate, mica brindare o chiuderci nel cesso a piangere!

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  7. Vincenzo, non capisco davvero cosa tu abbia letto. Quando mai avrei detto una cosa simile? Tu credi che non sia mio desiderio che la sinistra vada al potere? tu credi che io non voglia vederla al governo? cosa sono masochista? E' chiaro che bisogna porsi come forza di governo questa mi sembra una tautologia, perché lo si fa nel momento in cui si stende un programma. Anzi io credo che questo sia proprio più della Linke e della sinistra cosiddetta "radicale" che dei partiti della "sinistra-centro" che invece sono apparsi molto disorientati dall'aggressività della destra. Se c'è qualcuno a cui dovresti volgere questa critica sono proprio loro.
    Guarda che se c'è un motivo per cui la Linke non è al governo non è causa sua ma a causa della Spd che preferì un governo di grande coalizione con la Cdu piuttosto che un'alleanza a sinistra.
    Quindi mi sembra chiaro, visto il fallimento di questa tattica, volgere una critica nei confronti dei socialdemocratici. Mi sembra anzi doveroso e altrettanto doveroso è constatare che il futuro della sinistra è " a sinistra" non a destra o al centro, e questo indipendentemente dal fatto che si stia all'opposizione o al governo (e quest'ultimo è ovviamente l'obiettivo privilegiato).

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  8. Tu scrivevi nel commento "e questo potrà anche spostare più a sinistra l'asse della Spd": è questa proposizione che mi ha portato a questa interpretazione. Se in definitiva l'aspetto più interessante del risultato positivo della Linke sta negli effettoi che provoca nella SPD, sembra ovvio che è alla SPD ci affidiamo.
    Mi fa piacere che non la pensi così: forse come me, ti auguri che alle prossime elezioni la SPD scompaia, a favore di una Linke che raggiunga almeno la maggioranza relativa dei voti.

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