In questi giorni in cui la questione della libertà di informazione è al centro dell'attenzione, si discute della pressione che ricevono i giornalisti da parte di poteri politici o economici per non pubblicare determinate notizie.
Tuttavia esiste un'altra forma di censura probabilmente meno clamorosa e di cui si discute di meno ma altrettanto pericolosa per chi si occupa di documentare fatti accaduti. Stiamo parlando non dell'informazione “di regime” quella asservita a questo o a quel gruppo politico, ma di quello stesso giornalismo “coraggioso” che si trova a fronteggiare mille difficoltà anche quando riesce a rendere pubblico il proprio lavoro.
Come tutti sanno le denunce di giornali o trasmissioni televisive comportano spesso cause civili interminabili e quindi una notevole spesa di denaro, oltre che di tempo, per l'editore e il responsabile del servizio o dell'articolo incriminato. Non sempre però l'editore è disposto ad accollarsi i rischi di una causa che potrebbe comportare per lui ingenti perdite economiche. Oppure non sempre quell'editore è disposto a compromettere l'immagine di influenti gruppi di potere. Si parla in questo caso di censura, eppure non sempre viene impedita la pubblicazione di un documento, si usa invece un metodo molto più subdolo. Certe volte infatti l'editore si accolla la responsabilità della pubblicazione di un certo lavoro giornalistico e quindi anche delle eventuali spese legali. Ma non sempre accade questo. Molto spesso può spogliarsi di ogni responsabilità civile e penale e scaricare tutto sulle spalle del singolo giornalista che in genere è privo dei mezzi per difendersi adeguatamente da solo. L'editore può farlo attraverso un cavillo legale. Si chiama “clausola di Manleva”, che è quel vincolo che il professionista è obbligato ad accettare sul suo contratto di collaborazione se vuole poter lavorare. Questo vincolo rende l'editore immune da ogni rischio legale nel caso di una causa, scaricando la responsabilità sul giornalista che nel contratto ha dichiarato di esonerare il proprio editore da ogni responsabilità. Naturalmente si tratta di una dichiarazione forzata perché l'alternativa ad essa per un giornalista è in genere la disoccupazione o un altro lavoro. Così molto spesso quel giornalista può non sentirsi abbastanza forte da portare avanti il proprio mestiere fino alle estreme (e tanto più apprezzabili) conseguenze, ovvero potrebbe rinunciare a trattare argomenti delicati o a urtare la sensibilità di determinati personaggi.
È quanto accaduto a Paolo Barnard, all'epoca della sua collaborazione con la famosa trasmissione Report, su raitre. Egli si occupò di un servizio riguardante il “comparaggio farmaceutico” ovvero la prassi diffusa da parte delle ditte farmaceutiche, in Italia e all'estero, di corrompere i medici perché questi prescrivano determinati farmaci che hanno deciso di piazzare sul mercato, anche quando non sono necessari o addirittura quando sono nocivi per la salute. Fece molto scalpore il caso del Vioxx, che negli Stati Uniti causò tra le 35000 e le 55000 vittime.
La trasmissione fu molto apprezzata dal pubblico al punto che la rai decise di rimandarlo in onda un'altra volta a distanza di due anni. Tuttavia un testimone dell'inchiesta decise di rivalersi sul programma. Paolo Barnard afferma che la rai e la Gabanelli gli avevano assicurato che l'azienda avrebbe provveduto alla sua difesa e all'eventuale rimborso. Tuttavia le cose sarebbero andate ben diversamente e, secondo quando afferma Barnard, non solo la rai avrebbe fatto valere la clausola Manleva, ma avrebbe dichiarato ufficialmente la propria estraneità al fatto scaricando la responsabilità tutta sul giornalista. La stessa cosa avrebbe fatto Milena Gabanelli in qualità di caporedattrice del programma. La rai avrebbe pagato per difesa propria e della Gabanelli, rifiutandosi però di provvedere a quella dell'autore del servizio.
Milena Gabanelli ha assicurato che avrebbe provveduto per le spese anche per la parte spettante a Barnard, ma quest'ultimo nega categoricamente di esserne stato informato.
Molti spettatori di Report avevano scritto alla trasmissione o pubblicato commenti sul forum per chiedere delucidazioni. Tuttavia la redazione si sarebbe limitata a bannare gli autori delle proteste e a chiudere il suddetto forum. Un comportamento non certo degno di una trasmissione di questo livello.
Ora aldilà della vicenda personale e umana di Paolo Barnard, cui va tutta la solidarietà di chi scrive per quel che può servire, c'è un punto essenziale. E cioè che esiste uno strumento perfettamente legale per impedire di fatto la pubblicazione di notizie scomode. Questo strumento fa leva sulla paura del giornalista, paura giustificabile perché è umano non sentirsi capaci di reggere da soli le conseguenze di una causa che persone potenti potrebbero intentare contro di lui. La libertà di informazione passa anche per la tutela di chi svolge questo mestiere. Costui non deve temere ripercussioni, di alcun genere, altrimenti potrebbe ritenere che sia meglio per la sua carriera o anche per la propria sopravvivenza quella di lavorare un po' meno scrupolosamente di come invece vorrebbe fare.
Spesso siamo abituati a porre la questione della censura solo in termini diretti. Ci immaginiamo che ci sia sempre un politico o un magnate della finanza che telefoni al caporedattore intimandogli di non pubblicare una notizia che potrebbe nuocere ai suoi interessi. Questo caporedattore a sua volta esercita sul giornalista il divieto.
Tuttavia non sempre la situazione è così lineare è chiara. Il potente di turno potrebbe non aver bisogno di alcuna telefonata, di alcun diktat proferito al direttore di un giornale. Non è detto che si renda necessario un qualche editto da un paese straniero per impedire illecitamente a un reporter di render note alcune vicende. Può usare un metodo molto più persuasivo e perfettamente lecito: la legge.
Ci siamo abituati a pensare che oggi la censura sia formalmente vietata. Che le leggi del nostro paese la condannino. Poi farla rispettare è un altro paio di maniche ma comunque siamo portati a credere che censurare una notizia scomoda sia un atto illegale. Ma non è sempre così.
Minacciare querele è una condotta perfettamente legale. Come è perfettamente legale per un editore scaricare qualsiasi responsabilità sul giornalista che lavora per lui e grazie al quale ottiene un profitto. È perfettamente legale che un giornalista venga la ciato solo dall'azienda per la quale ha lavorato per anni senza avere la possibilità effettiva (e quindi economica) per difendersi da eventuali ritorsioni. Non meravigliamoci allora se di fronte a difficoltà e pericoli così spesso insormontabili, molti decidano di gettare la spugna e di accontentarsi di fornire una mediocre ma meno rischiosa informazione.
Pertanto se si vuole evitare la censura non basta intervenire sui mezzi di comunicazione per limitarne la monopolizzazione. Non basta affrontare la questione del conflitto di interessi. Occorre escogitare delle tutele giuridiche per il giornalista.
Credo perciò siano necessari i seguenti tipi di azione legislativa:
- Stabilire per legge la responsabilità giuridica in sede sia penale che civile da parte dell'editore di tutto ciò che pubblica, rendendo illegittime e nulle tutte quelle clausole che assolvono gli editori dal dovere di difendere l'autore.
- Vietare qualsiasi azione legale da parte dell'azienda contro l'autore per rifarsi delle spese sostenute in sede processuale ai danni di quest'ultimo.
- Assolvere l'autore (e l'editore) dall'accusa di diffamazione nel caso in cui questi dica la verità o nel caso in cui, pur dando una notizia falsa, lo fa in buona fede e inconsapevolmente, ovvero per errore (purtroppo in Italia avviene l'esatto contrario cioè si può querelare e avere soddisfazione anche nel caso che la notizia motivo del contenzioso sia vera).
- Commisurare il risarcimento pecuniario alle effettive capacità dell'azienda; ovvero, non si può far pagare la stessa cifra a un giornale come il Corriere della Sera che ha una tiratura di migliaia di copie e all'ultimo quotidiano locale, anche perché il danno è diverso poiché a parità di diffamazione fa più danno un giornale che è più diffuso.
Proporrei addirittura uno “Statuto dell'autore” che stabilisca i diritti di chi dà informazioni, con qualunque mezzo (tv, radio, stampa o internet).
Si tratta perciò non solo di agire su un piano tecnico-mediatico, ovvero concernente il processo di accumulazione dei media e del loro controllo, ma anche su quello giuridico-sindacale, ovvero permettere a chi fa informazione, e alle organizzazioni che si occupano della sua tutela, di poter disporre di validi mezzi legali che lo protegga, in modo da compensare la sua debolezza su un altro fronte, quello dei mezzi economici e politici. Non bisogna soltanto colpire i “censori”, ma anche proteggere i “censurati”. Solo se esiste una protezione per chi si occupa di informazione sarà possibile allora una libertà di espressione concreta e non meramente formale.
Fonti:
Consiglio vivamente questa videointervista a Paolo Barnard su http://www.youtube.com/watch?v=IPZAJAAuWUE&feature=related molto interessanti anche i video correlati che trattano dell'informazione in italia.
Il dibattito sulla questione specifica che riguarda Paolo Barnard e la trasmissione Report è presente su Arcoiris tv: http://www.arcoiris.tv/modules.php?name=Lettere&op=esteso&id=3871 e http://www.arcoiris.tv/modules.php?name=Xvid&id=9128
Eh...sarebbe bello fosse messo in pratica quello che tu proponi!
RispondiEliminaQuello che fa ancora più triste è che, vista l'impossibilità di avere copertura legale per collaboratori autonomi - non a contratto - una trasmissione come quella di Report si riduca a questo (cito da left/avvenimenti n.41 del 16 ott. 2009):
"Dai colleghi di Report non ti aspetti quella vecchia orrenda abitudine del giornalismo italiano di non citare i colleghi che prima di te hanno lavorato sulla storia, e del cui lavoro ti sei avvalso per realizzare la tua. Domenica scorsa, in particolare, i servizi sull'inceneritore di Colleferro e di Albano utilizzavano a piene mani il materiale pubblicato da left il 27 marzo 2009, e gli aggiornamenti che lo seguirono. Mancava solo... il nostro nome.(l.i.)"
Purtroppo quello che proponi è utipistico,l'informazione dovrebbe essere un contrappeso del potere politico ed economico, oggi venendo vista solo come un peso, viene spesso usata per assecondarlo più che per controllarlo...
RispondiEliminaNon conoscevo l'episodio di Paolo Bernard, ma anch'io ho spesso riflettuto su questa subdola forma di censura e condivido appieno una riforma della normativa giornalistica/editoriale in questo senso
RispondiEliminabel post
RispondiEliminaconcordo col russo
Non conoscevo questa storia...il punto 3 di un ipotetico statuto mi lascia un poco perplessa...In ogni caso non ci si è ancora arrivati...grazie di avermi fatto conoscere la storia di questo gironalista...
RispondiEliminaConosco in parte la storia di Barnard. Resta il fatto che Report é forse cmq l'unica trasmissione che fa denunce sociali coraggiose.
RispondiEliminaDaniele, sono d'accordo con te, ma proprio per questo stupisce il suo atteggiamento.
RispondiEliminaAnche io conoscevo la storia di Barnard e devo dire che nonostante ciò Report risulta l'unica trasmissione davvero imparziale e non fa sconti a nessuno.
RispondiEliminaSolo che ogni volta che la vedo mi prende una gran rabbia perchè il giorno dopo nessuno fa nulla per porre rimedio alle denunce che fa.
Ci stiamo assuefacendo e mi fa rabbia vedere la gente seguire con interesse e scandalizzarsi più per berlusconi che va a puttane che invece , ad esempio, per le trenta navi pieni di scorie radioattiva affondate dalla 'ndrangheta nei nostri mari.
La libertà di stampa è limitata soprattutto per colpa nostra Matteo!