venerdì 29 gennaio 2010

Haiti, la storia si ripete

Si dice che le disgrazie non vengono mai sole. E in questo momento nessuno come il popolo haitiano lo sa così bene. A un terremoto che ha causato più di 170000 vittime, senza contare i senza tetto e i feriti, si aggiunge la mancanza di generi alimentari e sanitari, dovuto all'embargo che l'esercito americano in questo momento sta imponendo agli isolani. E come se non bastasse l'occupazione di un esercito straniero.
Ovviamente tutto questo non viene minimamente accennato dai media occidentali e filo-americani. Lì si declama semmai lo straordinario sostegno che le truppe d'oltreoceano stanno dando alla popolazione. Ma è veramente così, oppure è in corso nell'isola centroamericana uno dei più clamorosi inganni della storia perpetrato da una potenza mondiale che non è nuova a questo “doppio gioco”?
In passato Haiti ha dovuto ripetutamente subire “l'impegno umanitario” degli statunitensi. Già nel 1915 l'isola fu occupata da Washington che vi lasciò un proprio contingente. Il presidente Aristide, eletto due volte con schiacciante maggioranza e amato dal suo popolo, fu deposto da un colpo di stato nel 2004.
Ora sembra che gli Usa stiano preparando un nuovo colpo di mano. Non si spiega altrimenti la presenza di oltre 12000 marines, di una portaerei, di due incrociatori, di un cacciatorpediniere, di una fregata, e molto altro del potente arsenale bellico di cui dispone la U.S. Navy. C'è da chiedersi a cosa serve un tale spiegamento di forze per soccorrere una popolazione terremotata, precipitata nella miseria in un paese sull'orlo del collasso. Per domare la comprensibile ribellione della popolazione? E a cosa serve una portaerei (non solo quella americana)? Forse pensano di bombardare i disperati senza casa e sena cibo?
Un aiuto umanitario davvero singolare, offerto da uomini dei corpi speciali cui è stato insegnato ad uccidere e che ora dovrebbero invece salvare vite umane.
Ancora più singolare è una missione umanitaria senza aiuti umanitari. Se si esclude qualche provvista di cibo in scatola fatto atterrare dagli aerei, quasi a far vedere che qualcosa si sta facendo (viene in mente la scena del ricco che dalla carrozza getta monete alla plebe che si affanna per contendersele) sembra che il comando militare stia facendo di tutto per impedire che gli aiuti giungano a destinazione. Il blocco aero-portuale rende davvero arduo il lavoro dei soccorritori internazionali, per non dire impossibile.
Un paese accerchiato e assediato militarmente con un embargo di fatto imposto, sarebbe questo il grande “impegno umanitario”? Lo so che adesso mi attirerò le ire di molti, ma Bertolaso non aveva tutti i torti quando denunciava la scarsa efficacia dell'intervento dei soldati e io non sono certo un suo ammiratore. Dal punto di vista del capo della Protezione civile, naturalmente, poi Bertolaso non è né un militare né un esperto di geopolitica e dunque non può sapere. Ma perché mai gli Stati Uniti dovrebbero organizzare tutto ciò? A che scopo? E qui veniamo a ciò che Bertolaso non ha detto e non poteva dire. La risposta alla domanda se ci si pensa è più che ovvia. Ed è la stessa che fu alla base degli interventi bellici in Cile, in Nicaragua, in Colombia, e in molte altre zone del pianeta: il controllo delle risorse minerarie.
Haiti è un territorio estremamente ricco di petrolio, oltre che di Uranio e di altri minerali. Questo lo rende, per sua sfortuna, una preda assai appetibile per i falchi (ma anche per le colombe) di Washington e per tutte le lobby economiche di pressione che determinano la politica della più grande potenza mondiale.
A questo punto della situazione ci sono quattro possibili scenari:
  1. Un colpo di stato in piena regola, come quello prodotto in Honduras, sotto la supervisione dei soldati Usa.
  2. La pressione sotto la minaccia delle armi per costringere il presidente Preval (che l'alleanza con l'odiato Chavez non contribuisce certo a renderlo di gradimento alla Casa Bianca) alle dimissioni e la sua sostituzione con un fantoccio telecomandato in tutto e per tutto.
  3. Il lavoro della diplomazia per ricondurre, attraverso il ricatto delle armi e la lusinga dei dollari, il Presidente Preval alla ragione, ovvero per fargli fare ciò che gli interessi lobbistici pretendono egli faccia.
  4. Manipolare le elezioni (assassini politici, intimidazioni, ricatti, brogli) per permettere la vittoria ai favoriti di Washington.

Non so quale di questi scenari si realizzerà, chissà forse nessuno dei quattro, ma penso si possa convenire che il quadro sin qui delineato appaia molto più credibile del generoso aiuto alla popolazione offerto da un esercito armato fino ai denti per ragioni inspiegabili.
La spartizione del territorio haitiano e delle sue inestimabili ricchezze sotterranee fa gola a molti, Italia compresa. Il Ministro La Russa ha previsto l'invio della portaerei Cavour, una missione che secondo lo stesso ministro dovrà costare dai 100000 ai 200000 euro al giorno, peccato che questa cifra non servirà a soccorrere i civili ma a rinfoltire una già imponente presenza militare.
Ma Haiti è una ghiottoneria cui il nostro governo non può rinunciare, e soprattutto non possono rinunciarvi le aziende italiane, come Eni e Finmeccanica, che dovrebbero finanziare l'impresa, prevedendo, evidentemente, un lauto compenso alla fine in termini di contratti e appalti.
Una notizia bomba, direte voi, peccato che è stata fatta passare in sordina dalla stampa e dalla televisione italiana. Peccato che la cosiddetta opposizione l'abbia praticamente ignorata, occupata com'era a rimproverare Bertolaso per la sua imperdonabile mancanza di rispetto verso gli americani, a cui invece bisogna obbedire ciecamente. E anche Berlusconi si è subito preoccupato di richiamare il suo fidato collaboratore per non compromettere con una simile imprudenza l'operato della consumata diplomazia italiana che finora ha servito così bene la bandiera... quella a stelle e strisce.
Lo so cosa starete pensando. Ma il Presidente degli Stati Uniti non è forse Obama? non era quello della nuova America, del cambiamento, del pace e della prosperità e di tutte le belle parole che egli con una impressionante vis retorica ha saputo snocciolare? Be', di questo ne abbiamo già parlato qui e qui.
Scusate ma un premio nobel assai discutibile e una vibrante oratoria mi paiono davvero poco come scusante. Penso che il golpe honduregno e l'occupazione di Haiti condotta speculando su una immane tragedia pesino molto di più se si è interessati a una valutazione lucida e oggettiva. Poi chi vuole continuare a illudersi faccia pure. I fatti sono quelli che sono, non li si può cambiare.


Fonti:







lunedì 25 gennaio 2010

Alieni e immigrati

Un saluto a tutti e ben ritrovati dopo questo mio lungo periodo di assenza e questa lunga vacanza di Eresia rossa (non del suo autore però!). Molti di voi forse mi avranno, comprensibilmente, abbandonato, data la mia prolungata assenza, ma spero possiate tornare numerosi. Devo dire che ci sono tanti argomenti con cui avrei voluto ricominciare. Ma probabilmente già se ne occupano, ed esaustivamente, altri blog. Perciò desidero parlarvi di un film, che consiglio caldamente di vedere. Si chiama District 9, uscito qualche mese fa, e forse alcuni di voi l'hanno già visto. È una intelligente satira sociale (anche se drammatica) di genere fantascientifico. Una nave aliena sbarca a Johannesburg (tra le righe si legge un riferimento all'apartheid) e resta ferma a causa di un guasto. La popolazione aliena della nave viene rinchiusa in un campo chiamato appunto “Distretto 9”. Gli alieni (soprannominati spregiativamente “gamberoni”) sono così costretti a vivere in una specie di “bidonville”. A seguito della crescente tensione con gli umani il governo sudafricano decide di trasferire gli alieni in un nuovo campo e incarica di farlo l'agenzia MNU rappresentata da Wikus Van De Merwe, il quale tratta gli alieni senza troppi riguardi. Tuttavia dovrà presto ricredersi a seguito di un inspiegabile evento che lo trasforma da carnefice a vittima. Mi fermo qui, nel caso non l'abbiate visto e vogliate farlo (e ve lo consiglio).
La pellicola riesce ad essere molto efficace nel rappresentare la situazione inizialmente dalla parte degli uomini, i quali non hanno molte preoccupazioni per la sorte toccata agli alieni, esseri mostruosi e orripilanti, che possono anche essere uccisi senza pietà alla minima infrazione. In seguito c'è un capovolgimento e il punto di vista diventa quello degli alieni costretti a sopravvivere duramente su un pianeta ostile.
Pensate anche voi quello che penso io? Sostituite “alieni” con “immigrati”, l'appellativo “gamberoni” con “negri”, “Distretto 9” con “Centro di Identificazione” e otterrete non la trama di un film di fantascienza, ma la realtà. Una realtà che sembra tra l'altro replicarsi periodicamente, come già è successo giorni fa nell'“accogliente” Rosarno. Questa associazione io l'ho fatta subito. È inevitabile. Non è provincialismo, il voler ricondurre tutto al cortile di casa propria. La vicenda di Rosarno è sintomatica di un fenomeno mondiale, che coinvolge la specie umana in quanto tale e la sua organizzazione sociale.
L'aspetto che la pellicola centra in pieno è la segregazione come fenomeno profondamente moderno, talmente moderno da essere trasponibile in un'opera di fantascienza. Fenomeno, purtroppo, assai sottovalutato, oggi. Si pensa alla segregazione come a qualcosa che avvenne in passato, la cui ultima e tragica apparizione fu proprio quella sudafricana. Eppure essa è sempre presente, magari sotto nuove forme. Ovunque nel mondo si trovano situazioni come queste. Basta andare in Palestina e vedere come il governo israeliano tratta i palestinesi, oppure in Cecenia, o nelle prigioni della Libia, a seguito dell'accordo col nostro governo, o nella stessa Italia. I fenomeni migratori si rafforzano, perché si inaspriscono guerre, carestie e miseria. Alle migrazioni i governi rispondono con un rifiuto oppure con la segregazione, scoraggiando in tutti i modi la mescolanza e costruendo muri, compartimenti stagni.
La caccia al negro di Rosarno non è un episodio di cronaca locale o nazionale. È una questione che sta assumendo proporzioni gigantesche e che le azioni dei governi e dei potentati economici aggravano costantemente.
La segregazione non è l'apartheid di un paio di decenni fa, il razzismo non è il lascito di un passato barbarico. È qui e ora. È questo il senso del film: è qualcosa di profondamente moderno, radicato nelle nostre società e che riaffiora non appena qualcosa di inaspettato e di diverso infrange il precario equilibrio delle nostre metropoli, o delle nostre province, che ci illudiamo di poter conservare. Non a caso il film è ambientato nel 1982. Il passato è presente. Probabilmente possiamo rassicurarci con l“'uguaglianza formale” scritta sulle leggi, o con l'apparente noncuranza che ostentiamo di fronte alla diversità, ma ciò non cancella una caratteristica profonda della nostra società. Essa è razzista strutturalmente e per costituzione: una verità sconcertante, certo, ma pur sempre una verità, come l'“esperimento virtuale” di District 9 dimostra ampiamente.

martedì 15 dicembre 2009

Il diritto di odiare

Avrei preferito non occuparmene. Telegiornali e talk show, o come preferisco chiamarli, talk shoe, sono riempiti dall'unico
argomento del momento. Un povero malato di mente aggredisce il Presidente del Consiglio, dopo che questi aveva smesso di insultare giudici, avversari politici, elettori, giornalisti e chiunque abbia osato criticarlo. Provoca, crea malessere e poi va in mezzo alla folla a fare il grande taumaturgo. È ovvio che prima o poi lo avrebbero aggredito. Anzi c'è da stupirsi che fino ad ora non lo abbia fatto nessuno data la facilità con cui chiunque può avvicinarglisi a breve distanza.
Un Presidente del Consiglio che non fa altro che insultare e provocare e poi va in mezzo alla folla come se le varie menzogne infarcite di invettive che spara su chiunque non gli vada a genio fossero azioni di cui vantarsi. C'era da aspettarsi che prima o poi una reazione violenta lo avrebbe colpito. Quell'aggressione è un atto inutile, anzi dannoso per chiunque sia contro Berlusconi. Ma non per una qualche forma di rispetto o di pietà umana per la “vittima” (ammesso che così si possa definire chi ha fatto per anni il carnefice e per una volta si ritrova sotto). Io non esprimo nessuna solidarietà al Delinquente del Consiglio che considero un nemico e invito tutti a considerarlo tale. E scrivessero ciò che vogliono certi cronisti di corte arroccati nel loro “terzismo” alla Pigi Battista (ve li immaginate loro in epoca fascista e in piene leggi razziali invocare il “dialogo” tra squadristi e antifascisti?). Berlusconi è un “nemico del popolo” come si diceva una volta. È stato davvero pietoso assistere a quella sfilata di politici al capezzale della presunta vittima. Bersani ha preferito recarsi col cappello in mano a dare la sua “solidarietà” a Berlusconi piuttosto che scendere in piazza contro di lui. Adesso quindi si sa da che parte stia.
Sappiate quindi che Bersani, segretario del Pd, solidarizza con un colluso, un evasore fiscale, un corruttore e in sintesi un delinquente. Degno della entusiastica stretta di mano che la capogruppo del medesimo partito Anna Finocchiaro si precipitò a dare all'altro mafioso, Renato Schifani, dopo che questi era stato appena, malauguratamente, eletto Presidente del Senato. Degno della “costola della sinistra” secondo quanto il D'Alema bicamerale diceva di quella Lega che vuole pulirsi il culo col tricolore (ma solo dopo averci messo la croce sopra!?) e fare pulizia etnica.
Non c'è nulla da solidarizzare con un piduista eversivo, un collaboratore della mafia, un criminale di stato responsabile di tutte le stragi che hanno commesso i “nostri” (non miei) soldati in giro per il mondo. Nessuna pietà umana. Potrebbe anche schiattare o “andare a morire ammazzato” come il nanerottolo (in quanto a statura morale) Brunetta augurava alla sinistra (senza distinzioni quindi rivolto alla metà degli italiani) qualche tempo fa, dimostrando tutta la “non violenza” di certi ipocriti e scandalizzati benpensanti dalle mani insanguinate. Potrebbe andare all'inferno, se esistesse, che io non verserei una lacrima né spenderei una parola di compassione per questa sedicente vittima.
Dicono che ci sarebbe un “clima di odio” diffuso da certi “agitatori” (come nel romanzo di Steinbeck Furore venivano chiamati i braccianti che si ribellavano ai padroni). Ma la causa dell'odio non è chi odia. Se c'è chi odia è perché qualcuno o qualcosa ha compiuto certe azioni o comportamenti che hanno dato motivo di odiare. C'è un governo che compie gli atti più osceni (che non starò qui a elencare tutti) come privatizzare l'acqua o riaprire le centrali nucleari per farci ammalare di cancro, che inganna milioni di persone, che svende i beni pubblici, che compie i peggiori reati riuscendo impunito per poi perseguitare i diversi, come gli immigrati, e ci si domanda perché c'è l'odio? C'è invece da domandarsi come mai questo odio non sia già esploso, non abbia già provocato una rivoluzione!
“Il clima di odio”, “la violenza”, tutti all'improvviso diventano pacifisti. Dopo aver contribuito alle carneficine internazionali che chiamano “missioni di pace”, dopo aver mandato la polizia a manganellare studenti, operai e militanti, riducendoli molto peggio di quanto sia adesso il volto loro capo, si lamentano per l'odio. Ma dov'erano costoro quando Carlo Giuliani veniva ammazzato da un carabiniere? Dov'erano quando Stefano Cucchi veniva pestato a morte dalle guardie? Qualcuno di loro è forse andato a trovare i parenti di queste vittime? Qualcuno di questi amanti delle pace espresse solidarietà? Qualcuno denunciò i mandanti (non “morali” ma effettivi) di quelle mattanze? Dov'erano Libero e Il Giornale, dov'erano Bersani e Casini quando l'attuale governo permetteva la tortura degli immigrati nelle carceri libiche attraverso un accordo con uno dei peggiori dittatori?
Si lamentano del “clima di odio”. Ma devono ringraziare la loro buona stella che nessuno non li insegua coi forconi, che non li abbia ancora presi per la collottola e appesi a una corda per i piedi come durante la Resistenza! Odiare? Ma certo che odiamo! Cosa c'è di sbagliato nell'odiare un mafioso, un criminale, un terrorista che purtroppo è a capo del governo? Odiare, anzi, è d'obbligo, un dovere civico e morale di ogni buon cittadino. Bisogna odiare i soprusi, le ingiustizie e chi li commette. Io odio e rivendico il diritto a odiare questi parassiti, questi vampiri che ci succhiano il sangue e poi vanno in televisione con la loro faccia da culo a parlare di pace e di solidarietà!
Il problema, anzi, è l'opposto, e cioè che gli italiani odiano troppo poco chi li opprime e li inganna. Se li odiassero decentemente forse a quest'ora vivremmo in un paese migliore.
L'odio non è sbagliato di per sé. C'è odio e odio. C'è l'odio della Lega, dei piccolo-borghesi e degli operai imborghesiti, quello razzista nei confronti degli immigrati, degli omosessuali e dei diversi.
Odio, questo, che invece non viene mai biasimato. Forse il Capo dello Stato era distratto quando Gentilini, sindaco leghista, invitava a far pulizia etnica dei “culattoni” o a “eliminare” (non solo cacciare, proprio eliminare) i bambini zingari che rubano. Questo genere di odio, mai censurato e mai biasimato, va profondamente rifiutato e combattuto.
Ma poi c'è anche un odio legittimo. Quello del debole contro il potente, dello sfruttato contro lo sfruttatore, della vittima contro il suo carnefice. Lenin diceva che uno schiavo che è cosciente della sua schiavitù ha già smesso di essere schiavo. Per esserne coscienti bisogna comprendere le vessazioni che si è costretti a subire, morali o materiali che siano. E questa comprensione non può far altro che generare odio. Bisogna odiare. Odiare il sistema che genera quest'odio e chi in questo sistema ci sguazza beatamente, schizzando pure il fango in faccia a chi lo subisce.
Odiare questo sistema e chi è al suo servizio significherebbe il risveglio dello schiavo.

Immagini in alto: qual è la violenza peggiore?

venerdì 11 dicembre 2009

Il Nobel dell'inganno

Continuo a chiedermi quando la smetteremo di farci prendere per il culo. Non solo chi dispone delle nostre vite è responsabile di migliaia di morti. Ma pretende anche di passare come un grande filantropo. E ci riesce! Il premio Nobel per la pace serve appunto per questo scopo. Certo, non sempre, a volte viene dato a chi se lo merita davvero. Ma altre volte lo riceve chi ha le mani lorde di sangue. Anzi, no, che dico? loro le mani ce le hanno sempre pulite, perché fanno fare ad altri il lavoro sporco. Loro hanno le mani pulite e profumate, pronte per ricevere un Nobel ed essere acclamati come grandi benefattori dell'umanità. Dopo che questo, ormai screditato, riconoscimento è stato assegnato a personaggi come Henry Kissinger, Shimon Peres o il Dalahi Lama, allora tutto è possibile. Anche che venga dichiarato “messaggero di pace” colui che continua a seminare morte e terrore coi carrarmati. Costui si chiama Barak Obama, il presidente degli Stati Uniti. Colui che è stato eletto a furor di popolo come il salvatore del genere umano, colui che avrebbe riaperto il “sogno americano” e costruito un “capitalismo dal volto umano”. Adesso si vede insignito del più alto riconoscimento per un attivista dei diritti civili. Dopo aver inviato altri 30000 soldati in Afghanistan, per aumentare il numero di vittime civili che già adesso è esponenziale, egli ha ricevuto proprio ieri l'ambito premio. È un po' come se avessero consegnato il premio Borsellino a Bernardo Provenzano.
Eppure il grande eroe degli illusi, è ben lontano dai tempi, sembra passata un'eternità, in cui veniva adorato da folle estasiate. Egli rappresentava, a detta di molti, la speranza per una nuova America, l'anti-Bush per eccellenza, colui che avrebbe creato pace e prosperità per gli Stati Uniti e per il Mondo. Eppure, a quasi un anno di governo, si può dire che queste speranze si siano rivelate del tutto infondate. Posso dire personalmente di aver già espresso le mie critiche in tempi non sospetti, quando tutti erano in preda a questa specie di amore incondizionato per il grande leader, un vero e proprio culto della personalità del nuovo millennio. Formulai, poi, un'analisi completa dell'incantatore di serpenti in questo post, dove evidenziavo tutte le promesse che non aveva mantenuto e che non sarebbe mai stato in grado di mantenere. Mi preoccupava quell'ingenuità infantile della popolazione mondiale, pronta ad aggrapparsi anche alla più flebile speranza di un qualche Messia, invece che riprendersi in mano il proprio destino che le è stato sottratto da tutti i vari imbonitori e soprattutto coloro che sono serviti da quelli.
Dopo aver assistito a tante delusioni, da Kennedy (quello della guerra in Vietnam e della Baia dei Porci) a Clinton (quello dei bombardamenti sull'Iraq e sulla Serbia) per non parlare di Bush che è storia più o meno conosciuta, speravo che si fosse imparata la lezione. Doveva essere chiaro fin dalla campagna elettorale in cui si vedeva un Obama finanziato più che mai dalle multinazionali, e un McCain la cui sconfitta era già stata decisa dalle lobby, come sarebbe andata a finire. Il più grande finanziatore di McCain diede a questi un contributo inferiore di quello dell'undicesimo finanziatore di Obama.
Bush era legato alla lobby del petrolio. Obama a quella delle banche e delle assicurazioni. Poteva quindi mai essere che Obama realizzasse una riforma sanitaria che rendesse le cure mediche universali andando così contro gli interessi dei suoi investitori, cioè di coloro che lo avevano messo sulla poltrona presidenziale? Ovviamente no. Poteva mai essere che Obama durante la crisi non spendesse miliardi di dollari per salvare i banchieri senza lasciare al verde i lavoratori? Ovviamente no. I fatti, purtroppo, mi hanno dato ragione.
Obama aveva da sempre ben specificato che in Afghanistan si resta. Si sarebbe cominciato il ritiro dall'Iraq (cosa tra l'altro prevista anche dal suo predecessore), cosa che puntualmente non è avvenuta, perché le truppe americane sono ancora in territorio iracheno.
Obama tra l'altro è responsabile anche di aver aggravato la crisi con l'Iran, perseguendo nella tattica di togliere a un popolo il diritto di autodeterminarsi. Se l'Iran vuole costruire centrali nucleari non può farlo. All'opinione pubblica è stata raccontata la bugia clamorosa che Ahmadinejad starebbe costruendo una bomba atomica. Cosa priva di ogni fondamento, che anche se fosse vera (come sicuramente invece è vera per Israele e Pakistan, ma in questo caso nessuno se ne preoccupa) non si capisce come l'Iran farebbe a usarla contro lo stato ebraico, visto che potrebbe essere raso al suolo in dieci minuti dalla NATO.
Obama ha riconosciuto il governo golpista dell'Honduras. Dietro al colpo di stato, ormai è palese, ci sono, tanto per cambiare, gli Stati Uniti, che per l'ennesima volta hanno rovesciato un governo democratico per metterci una dittatura de facto.
Sempre lo stesso governo e lo stesso Presidente hanno contribuito all'escalation militare in Sud America, dove per contrastare l'odiato Chavez si sta armando la Colombia fino ai denti, forse, chissà, il simpatico Barak sta preparando una nuova guerra, o magari un altro colpo di stato.
Ecco a voi signore e signori Mister Obama, il grande benefattore, colui che in nome della pace è responsabile dell'eccidio di migliaia di esseri umani.
Il gradimento di Obama da parte del popolo americano è al suo minimo storico. Solo il 26 % degli americani, inoltre, è d'accordo nel ritenerlo degno di un Nobel. Gli americani si sono svegliati. Speriamo che non si riaddormentino troppo presto.


Fonti:



lunedì 7 dicembre 2009

Perché vi odiano



Caro Segretario di Stato Hillary Clinton, a seguito della sentenza sull'omicidio Kercher che ha condannato Amanda Knox e Raffaele Sollecito rispettivamente a 26 e a 25 anni di reclusione, i giornali americani hanno sollevato uno scandalo incomprensibile. Premetto che non sono accusabile di nazionalismo né di difendere ad oltranza la magistratura italiana e chi segue ciò che scrivo lo sa. Però, questa volta, caro Segretario di Stato, avete torto marcio. Voi, i vostri giornali e i vostri politici. A cominciare dalla senatrice Maria Cantwell del suo stesso partito, che crede evidentemente di sapere meglio dei giudici che si sono occupati del caso e che lo hanno studiato, quale sia la verità, per finire a tutti quelli secondo cui la sentenza sarebbe stata dettata da “antiamericanismo”. Un idea davvero demenziale, perché solo un demente potrebbe pensare che un giudice emette una sentenza che condanna un americana perché gli sono antipatici gli americani. Un'idea che denota tutta l'ignoranza e la superficialità di chi la esprime e che mi rattrista non sia stata censurata dal suo partito. Mi rattrista anche che lei, Signor Segretario di Stato, invece di prenderne le distanze e di dire se non di condividere, quanto meno di rispettare la sentenza della magistratura italiana, ha detto di essere pronta ad ascoltare chiunque avesse qualcosa da dire sul caso, come se il compito di un politico non fosse quello di occuparsi dei problemi del proprio paese, ma di mettere il naso in faccende che non li riguardano, come le sentenze emesse da giudici di altre nazioni, che in quanto a diritto, onestamente, non hanno nulla da imparare dal vostro sistema. Anzi, se c'è qualcuno che dovrebbe imparare quelli siete voi. Ho già detto che sono quanto di più lontano ci sia da un nazionalista. Però, come diceva un vecchio cantautore italiano:

“...ma forse noi italiani
per gli altri siamo solo
spaghetti e mandolini.
Allora qui mi incazzo
son fiero e me ne vanto
gli sbatto sulla faccia
cos'è il Rinascimento.

Io non mi sento italiano
ma per fortuna o purtroppo lo sono”

Allora mi permetta di sbatterle in faccia i nostri oltre duemila anni di civiltà giuridica. Mi permetta di sbatterle in faccia che noi di diritto ci occupiamo da molti secoli prima che gli Stati Uniti nascessero. Mi permetta di sbatterle in faccia che senza il diritto romano la civiltà giuridica occidentale non esisterebbe nemmeno. Mi permetta di sbatterle in faccia chi fu Cesare Beccaria che scriveva contro la tortura e la pena di morte quando voi sfruttavate ancora gli schiavi nelle piantagioni. Mi permetta di sbatterle in faccia la nostra Costituzione, nata dalla Resistenza contro l'oppressore, e di fronte alla quale dovreste togliervi il cappello. In tutto questo tempo, qualcosa lo avremmo pure imparato, non le pare?
Ma potevo pure accettare questa lezione di diritto da un francese, o da un brasiliano, soprattutto dopo la vicenda Battisti in cui i giudici di questi altri paesi hanno effettivamente mostrato di essersi comportati meglio dei nostri. Del resto nessun sistema è perfetto. Ma non posso accettarlo in nessun modo dal vostro paese. Mi pare che non sia il caso di ricordarle, Signor Segretario di Stato, il disastro del Cermis in cui, a causa di piloti americani, che con un eufemismo molto generoso si possono definire scellerati, perirono venti miei concittadini, i quali, a causa degli impedimenti frapposti dal vostro paese, non poterono avere mai giustizia. Non mi pare sia il caso di ricordarle, per andare ancora più a ritroso nel tempo, il caso dei due anarchici italiani, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, che, innocenti, furono condannati dai vostri giudici alla sedia elettrica. Alla sedia elettrica, Signor Segretario, non a 26 anni (che in Italia possono essere ridotti nel corso della pena).
Mi preme invece farle notare, come i vostri “censori” prima di giudicare cose che non conoscono nemmeno dovrebbero pensare alla trave negli occhi del paese a cui appartengono. Alla giustizia italiana si possono fare tante accuse. Ad esempio quella della lunghezza dei processi. Ma non si può fare per nulla al mondo l'accusa di mancanza di garantismo. I vostri giornali, Signor Segretario, stanno tentando di far passare ai loro lettori un'immagine dell'Italia come quella di un paese barbaro, forcaiolo, “giustizialista” come si dice, dove si verrebbe condannati dopo processi sommari. Mi dispiace, Signor Segretario di Stato, ma non siamo noi i forcaioli, non siamo noi i barbari, non siamo noi i giustizialisti. Non lo siamo, quantomeno, rispetto a voi. Noi, ad esempio, non abbiamo la pena di morte. Salvo durante il fascismo (e per prevenire vostre probabili osservazioni aggiungo che voi avete contribuito a sostenerlo) in Italia la pena di morte non è mai esistita. I nostri “padri nazionali” hanno sempre assunto una posizione di rifiuto verso, questa volta sì, un tale barbaro strumento. Giuseppe Mazzini, celebre rivoluzionario e patriota italiano, aveva sempre espresso il suo giudizio fortemente contrario nei confronti della pena capitale. Altrettanto fece il neonato stato italiano nel 1861. Nel 1946 nacque la Repubblica e i padri costituenti furono praticamente all'unanimità d'accordo nell'escluderlo dal nostro ordinamento. Voi, invece, lo avete sempre avuto. Come una macchia indelebile sul vostro sistema, la pena di morte non ha mai smesso (e io spero che lo faccia presto) di accompagnarvi. Avete avuto prima l'impiccagione. Poi siete passati alla sedia elettrica. Fino a ieri avevate persino la camera a gas. Non starò qui a enumerare tutti i trattati internazionali sui diritti umani che non avete firmato. E quelli che avete firmato violandoli, come dimostrano le torture praticate dai vostri soldati a Guantanamo. Ma voi, Signor Segretario, non potete proprio permettervi il lusso di dare lezioni di garantismo a noi italiani. Questo proprio mai. Forse dovrebbe dire alla sua collega Maria Cantwell di informarsi, e vedrà che l'ordinamento italiano possiede non uno, ma tre gradi di giudizio. Al contrario degli Stati Uniti in cui si accettano casi di ricorso alla Corte Suprema solo in via eccezionale. Dovrebbe dirle inoltre che da noi le indagini le fa il Pubblico Ministero, un magistrato, non un comune agente di polizia. Dovrebbe dire alla senatrice ignorante che un caso del genere, fossimo stati in America, ci sarebbe stata una condanna come minimo all'ergastolo, se non addirittura a morte, quindi è inutile che si lamentano coloro che giudicavano eccessiva la pena. Il nostro ordinamento prevede che la pena tenda alla rieducazione del condannato. Per cui può darsi che Amanda Knox e Raffaele Sollecito (quest'ultimo se fosse stato da solo nessuno di voi bravi americani garantisti se ne sarebbe occupato perché non è nato in America) non scontino per intero la loro condanna. Infatti, in Italia viene applicato un principio in linea con i più avanzati sistemi penali (tra cui, mi duole dirlo, non figura il vostro!) secondo cui, prove statistiche alla mano, i detenuti che escono prima della scadenza della loro condanna è assai probabile che non reiterino il reato.
Dica anche alla senatrice Cantwell che, da noi, non si finisce in galera per non aver pagato delle contravvenzioni. È vero, anche da noi, purtroppo, talvolta (sempre troppo spesso) i detenuti vengono maltrattati e a volte uccisi. Ma cosa dire allora dei cittadini di colore che negli Stati Uniti subiscono costantemente violenza da parte delle vostre forze dell'ordine? Vogliamo vedere, in proporzione, quanti episodi di violenza accadono nelle vostre carceri (soprattutto quelle di massima sicurezza!) e quanti nelle nostre? Basti sapere che in Italia i detenuti sono lo 0,1% della popolazione, in America si arriva all'1%, dieci volte tanto!
Fossi Amanda Knox, mi riterrei fortunato, dopotutto, di scontare la pena in Italia e non negli Usa (dove avrebbe potuto costargli anche la vita). Mi riterrei fortunato di essere stato giudicato da un tribunale italiano e non da uno americano. Il nostro sistema, Signor Segretario, permetterà ad Amanda Knox, che ha commesso un gesto ingiustificabile checché ne dicano i sui genitori e la senatrice Cantwell, il più grave dei delitti, quello di sopprimere una vita umana, di scontare la pena, comprendere, forse, il suo tragico errore, e, una volta fuori di prigione, ricostruirsi una vita normale e rispettosa degli altri esseri umani. Certo, non è detto che comprenderà il suo errore, che si pentirà per quello che ha fatto. Soprattutto se è circondata da persone, come i suoi genitori, ma anche certi giornalisti, e certi politici, che giustificano il suo gesto.
I genitori, per primi, per quanto questo possa essere doloroso, dovrebbero rendersi conto del male che ha fatto la loro figlia a una sua coetanea, una sua concittadina e soprattutto una persona. Del male che ha fatto ai familiari di Meredith Kercher, cui il nostro tribunale ha reso quantomeno giustizia. Dovrebbero rendersi conto che quei familiari hanno subito una perdita molto più grave della loro. Perché in Italia non vige la legge del taglione.
In secondo luogo, i giornalisti americani, che non so se si rendono conto della quantità di menzogne che stanno raccontando ai loro concittadini, danno un'immagine falsata di un paese, il mio, che non gode di buna reputazione, ma che in realtà non conoscono.
The last but not the least, come dite voi, i politici – a cominciare da lei Signor Segretario – che non si rendono conto dell'ingiustizia che fanno all'Italia che ha sempre mostrato lealtà nei vostri confronti, spesso immeritata. L'Italia, che ha offerto il sacrificio dei propri soldati per guerre che non condivideva (cioè il popolo non le condivideva, i governanti e le multinazionali sì) sopportando servitù militari quantomai anacronistiche, non merita tutto questo.
Voi, occupate incarichi di responsabilità, dovreste sapere allora quali problemi le posizioni di certi vostri senatori e senatrici possono provocare a noi. In Italia infatti è in corso un'opera di delegittimazione dell'apparato giudiziario, da parte dell'esecutivo, opera che avrà dalla sua, ora, il contributo di un alleato insperato e quanto mai inopportuno.
Dopotutto, Signor Segretario di Stato, questa vicenda potrebbe apparire secondaria alla luce degli eventi che il mondo intero si trova ad affrontare. Ma se si vede la questione da un altro punto di vista si può scorgere un significato più profondo e fondamentale.
L'atteggiamento che il vostro paese ha tenuto nei confronti del nostro paese, è indice, infatti, caro Signor Segretario, di un'arroganza e di una spocchia che non può non risultare insopportabile a chi non è vostro connazionale. Un imperialismo culturale, oltre che economico e politico, che vi accompagna in ogni vostro ingresso, certo mai discreto, sulla scena internazionale. Avete dominato e continuate da molti anni a dominare il mondo, non c'è che dire. Non solo conservate questo vostro dominio con metodi assai sconvolgenti dal punto di vista etico (e non c'è bisogno che ricordi proprio a lei la miriade di colpi di stato che avete organizzato e concluso spesso con successo in tutto il mondo) non solo esercitate sul mondo intero un potere che è quanto di più lontano ci possa essere dalla democrazia di cui vi ergete a evangelizzatori, ma accompagnate per di più queste vostre mirabili gesta a una spocchia che si fa accondiscendenza nel migliore dei casi e aggressiva pretesa nel peggiore, una presunta superiorità culturale e civile con cui vi arrogate il diritto di giudicare tutto e tutti, pretendendo di non essere giudicati da nessuno. Come potete allora, con il candore immacolato della vostra falsa coscienza, chiedervi perché in molte parti del mondo siete odiati? Non mancate di manifestare la vostra superbia e la vostra impudenza persino con un paese che, nonostante tutto, non vi ha ancora negato la propria alleanza, come potete allora chiedere di essere trattati con riguardo finanche dai vostri nemici?
Probabilmente appartengo a quella schiera di persone che i bravi giornalisti che ci danno lezioni di diritto definirebbero “antiamericani”. Ma ciò non deriva da un qualche fanatismo, estremismo, o terrorismo. Io odio il vostro sistema. Non odio il vostro popolo, la vostra gente. Credo nel principio sancito da ambedue le nostre Costituzioni (e tanto spesso, ahimé, inapplicato!) che sancisce l'uguaglianza di tutti gli uomini senza distinzione di razza, sesso, o religione. Come potrei allora odiare una persona per la sua nazionalità? Odio, invece, il vostro sistema di potere. Quel sistema di potere cui avete assuefatto il mondo intero e il vostro stesso paese. Quel sistema di potere che a parole proclama libertà e democrazia e nei fatti opprime le altre culture e chiunque non si adatti ai vostri interessi. È facile accusare chi non la pensa come voi, chi antepone il valore dell'uomo al mercato, chi cerca di realizzare un mondo più giusto di quello attuale (come delineato, quasi poeticamente, nella Costituzione italiana) chi è in disaccordo col vostro modo di intendere la società, o che semplicemente si limita a fare il proprio mestiere in un'altra società, di essere un terrorista, un estremista o un antiamericano. Meno facile è comprenderne le ragioni, le motivazioni e le cause di quello che voi definite sbrigativamente antiamericanismo.
Non voglio difendere, Signor Segretario di Stato tutto quello che appartiene al mio Paese. Sono perfettamente cosciente dei numerosi mali che lo affliggono. Né tanto meno voglio difenderlo per un puro patriottismo. Ma nello stesso tempo mi sento solidale con le vittime delle vostre, e purtroppo tante, prepotenze. So che c'è chi ha sofferto pene assai peggiori a causa vostra, per questo, quando ho saputo dell'offesa che certi suoi concittadini, Signor Segretario, hanno rivolto ai miei concittadini, come sono i giudici che hanno redatto quella sentenza, alla mia cultura, e ai miei ideali riflessi in quella Costituzione, riconosciuta a livello internazionale come una delle più avanzate al mondo, mi sono sentito offeso io stesso. Quei valori e quegli ideali nei quali io credo, sui quali la Repubblica italiana è stata fondata e che spesso, lo ammetto, vengono dimenticati, vengono calpestati quotidianamente da voi, tanto metaforicamente (come nel caso in questione) quanto, e in modo ben più grave, materialmente, come accade nelle numerose guerre da voi provocate.
Se voi volete sostenere un sistema che discrimina tra il ricco e il povero, il cristiano e il mussulmano, noi certo non possiamo impedirvelo. Nessuno verrà a invadervi, con la cultura o con l'esercito, almeno non fino a quando sarete così potenti (ma il potere spesso tradisce).
Ma nessuno vi dà il diritto di andare in giro per il mondo a “esportare” una qualche idea di civiltà, maschera di interessi assai più prosaici e inconfessabili. Né con la forza, a suon di bombe, né con l'inganno, serviti da falsi profeti che diffondono menzogne.
Quando vedo la mia Patria trasformarsi fino a smarrire se stessa, non solo la propria cultura, che di per sé potrebbe non essere un gran danno, ma quei principi di giustizia sociale, di solidarietà e di uguaglianza con cui poteva orgogliosamente distinguersi da voi, quando vedo la privatizzazione dei servizi essenziali, dell'acqua, della sanità (che il vostro Presidente dice adesso di volere universale, sarà vero?) quando vedo lo Stato e il servizio pubblico che arretra di fronte a un privato sempre più aggressivo e spregiudicato, quando vedo quell'insieme di tutele sociali e di diritti, faticosamente conquistati dalla mia gente, svanire, per far posto alle magnifiche sorti e progressive del mercato, quando vedo quella che è la mia civiltà giuridica e sociale che permise al popolo di elevarsi fin quasi – forse fu un illusione – a contendere il diritto di governare col potere costituito, ridursi alla pallida ombra di se stessa per far posto alle fanfare del progresso dell'americanizzazione trionfante, quando vedo i miei concittadini abbagliati dal consumismo e dall'industria culturale che voi ci avete imposto per dominarci meglio, allora sento una rabbia profonda che mi costringe a odiarvi. A odiare il vostro sistema. Non la vostra gente che come noi ne è vittima.
Per questo, Signor Segretario di Stato, io chiedo, pretendo, che quella senatrice che ha scagliato deliranti accuse contro i magistrati italiani e la civiltà giuridica del mio paese ci rivolga le sue scuse. Chiedo che anche lei, Signor Segretario di Stato, e il suo Presidente, rivolgiate le vostre scuse al popolo italiano, in nome del quale è amministrata quella giustizia che ha condannato una vostra concittadina, e reso giustizia a un'altra. Chiedo che la finiate con la vostra prepotenza, morale e materiale, col vostro imperialismo culturale ed economico.
Chiedo che solleviate il Mondo dalla vostra inquietante e ubiqua presenza. Chiedo, anche se so che non lo farete, tanti e tali sono gli interessi che tengono avvinti voi stessi, come una macchina infernale che è diventata impossibile controllare.
Ma le macchine, Signor Segretario, sono create dagli uomini, che così come le hanno create possono anche distruggerle. Allora, finalmente, smetteremo di odiarvi.


Un cittadino dell'Italia e del Mondo


AGGIORNAMENTO, 8 dicembre:

Non ci sono irregolarità nella condanna della studentessa americana Amanda Knox per l'omicidio di Meredith. Lo sostiene il Dipartimento di Stato americano. "Non abbiamo alcuna indicazione che la legge italiana non sia stata rispettata", ha detto il Ian Kelly. Il portavoce ha annunciato che il segretario di Stato Hillary Clinton incontrerà la senatrice Maria Cantwell, che aveva parlato di "sentimenti anti-americani" nella sentenza.
"Il governo italiano ha autorizzato il nostro personale consolare ad assistere al processo - ha detto Kelly - Abbiano inoltre potuto visitare periodicamente Amanda Knox e continueremo ad avere questo ruolo di verifica e sostegno.


Faccio notare, non hanno detto: la legge italiana è stata rispettata, non c'è nessun antiamericanismo, ma "Non abbiamo alcuna indicazione che la legge italiana non sia stata rispettata" cioè: noi ce ne laviamo le mani.
Una dichiarazione comunque tardiva e decisamente inopportuno tutto questo interesse del Dipartimento di Stato per una criminale e per un'idiozia stratosferica come quella sul presunto "antiamericanismo" dei giudici. Evidentemente la Cantwell deve contare molto nel suo partito per aver tanto seguito dopo la figura decisamente meschina che ha fatto.