giovedì 3 settembre 2009

La sinistra che fa la sinistra


Uno spettro si aggira per l'Europa, questa volta il fantasma ha le fattezze duplici di Gregor Gysi e Oskar Lafontaine i leader della Linke, la formazione della cosiddetta “sinistra radicale” tedesca nata dall'unione dei transfughi dell'Spd riformista e dagli eredi della Sed (il partito comunista della Gemania est). La Linke nelle elezioni regionali di domenica scorsa, che hanno riguardato tre dei 16 lander tedeschi, ha visto una crescita esponenziale dei suoi consensi raggiungendo il 19,5% dei voti. Ora si apre uno scenario dove ogni maggioranza di governo potrebbe essere possibile.
Uno spettro si aggira per l'Europa, questa volta il fantasma ha le fattezze duplici di Gregor Gysi e Oskar Lafontaine i leader della Linke, la formazione della cosiddetta “sinistra radicale” tedesca nata dall'unione dei transfughi dell'Spd riformista e dagli eredi della Sed (il partito comunista della Gemania est).

Domenica scorsa infatti si è votato in Germania per le elezioni regionali in tre dei sedici Stati della Repubblica federale (Sassonia e Turingia all'Est, Saarland all'ovest) e per le comunali nel Nordreno-Westfalia. I risultati hanno visto un forte calo della Cdu, il Partito cristiano democratico del cancelliere Angela Merkel che perde in Sassonia, Turingia e nella Saar, una sostanziale tenuta dell'Spd e appunto una spettacolare affermazione della Linke che ha raggiunto il 19,5% dei consensi.

Ma al di là del dato numerico, è quello politico ad assumere più valore, dopo 20 anni dalla caduta del muro potrebbe essere possibile anche a livello federale una maggioranza di governo che comprende una formazione composta da comunisti, la Linke infatti è stata definitivamente sdoganata e una sua alleanza con i socialdemocratici non appare impossibile soprattutto se la Merkel non riuscirà a mettere in campo un accordo con i Liberali che finora non ha portato grossi vantaggi.

Tutti gli scenari, a causa dell'alto grado di indecisione degli elettori rilevato da tutti i sondaggi, quindi diventano sorprendentemente possibili per le prossime elezioni politiche: maggioranza giallo-nera (liberali e Cdu), una riedizione della Grosse Koalition tra la Merkel e l'Spd oppure un governo di sinistra con social democratici, verdi e Linke.

In quest'ultimo caso l'instabilità potrebbe essere la caratteristica principale vista la differenza tra i partiti su alcuni temi fondamentali come Ue, Nato, Afghanistan, Iran, politica economica. Ma l'affermazione della Linke ha assunto un significato particolare che potrebbe travalicare le tradizionali differenze di schieramento, la prova è data dal fatto che la sinistra è cresciuta esponenzialmente, non solo nelle tradizionali roccaforti dove risiedono i ceti sociali più poveri, ma soprattutto in due regioni come la Turingia e la Sassonia che dopo la riunificazione sono tornati i più ricchi, con una diffusa industria esportatrice ad alta tecnologia, e dove ceti medi e classe operaia ben pagata sono fasce significative della società.

AMI, 1 Settembre 2009



Tutti coloro che avevano detto che il socialismo è morto, devono ricredersi. La risposta è arrivata dalla Germania. La Linke, il partito della sinistra tedesca, quella non preceduta dalla parola “centro” né seguita dall'aggettivo “moderata”, era fino a poco tempo fa, dato in via d'estinzione. Eppure, in pochi anni, è passata da circa il 3% ad oltre il 20 % in diversi Lander.
Come si spiega questa clamorosa vittoria? Il risultato dev'essere contestualizzato in quella che è la realtà politica e sociale della Germania e dell'Europa.
Innanzitutto bisogna considerare la crisi economica mondiale, che non ha risparmiato la Germania, colpendo le classi più deboli.
In secondo luogo, non va dimenticata la complessa situazione politica tedesca, in cui c'è un governo formato da una coalizione tra centrodestra e centrosinistra, cioè socialdemocratici e cristiano-democratici. Come tutte le “grandi coalizioni” ha suscitato forte delusione presso tutti gli elettori, sia quelli di sinistra che quelli di destra. E lo conferma il dato delle elezioni regionali che hanno segnato un netto calo della Cdu della Merkel e una tenuta della Spd che però aveva già perso in precedenza.
La Linke invece è stata premita da un'opposizione intransigente che ha evitato qualsiasi genere di collusione, sia per propria volontà sia perché tradizionalmente marginalizzata dalle altre forze politiche.
Infine, è importante la particolarità della società tedesca, avanzata e industrializzata, ma pur sempre con forti differenze, soprattutto tra Est e Ovest. A queste diseguaglianze i governi che si sono succeduti, tanto quelli di Spd e Verdi, quanto i conservatori di Cdu e liberali non hanno saputo dare valide risposte.
In questo contesto l'opposizione della Linke è apparsa molto efficace, con lotte al fianco dei lavoratori e delle classi più deboli e con una politica di tutela sociale e di redistribuzione del reddito.
Sconfitti sono stati non solo i partiti di governo, ma anche i presupposti politici sui quali essi hanno fatto affidamento. L'idea, cioè, che si potesse governare convergendo verso il centro dell'elettorato e tendendo fuori le “ali”.
È questa una concezione assai diffusa, quella che per vincere le elezioni si debba costruire un profilo moderato, che non scontenti gli elettori di centro, perché sarebbero questi a fare da “ago della bilancia”. In realtà questa teoria, trascura importanti fattori. Innanzitutto l'astensionismo. Se un partito decide di spostarsi verso il centro, trascurando i propri elettori, per guadagnare consensi tra quelli che prima non lo votavano, è incerto se riesca in questa impresa, ma sicuramente, una parte del proprio elettorato tradizionale andrà disperso, o perché questo voterà altri partiti, o perché non andrà a votare. Difatto questa politica, quindi, si traduce in una perdita di voti. È tutto da dimostrare, poi, che elettori tradizionalmente estranei a quel dato partito decidano di votarlo, e in misura massiccia, solo perché questo ha deciso di “andargli incontro”. È invece assai probabile che gli elettori rimangano disorientati di fronti a questo “tradimento” delle radici, fossero anche quelli degli avversari. Una certa diffidenza, rimane comunque. Può darsi che alla lunga questa differenza sia superata, ma, alla lunga, rischia anche di essere un disastro, perché gli elettori più affezionati, lo “zoccolo duro” del partito, finiscono anch'essi per cambiare le proprie abitudini e non votare più il proprio partito. In Italia ne abbiamo avuto l'esempio clamoroso. Sulla base di questo assunto, di un partito moderato non più “ideologico” è nato il Partito Democratico. Ma i consensi, tutt'oggi, non sono mai arrivati, ed anzi è arrivata una solenne bocciatura da parte degli elettori. È chiaro che in Italia il problema per le forze progressiste sia l'astensionismo degli elettori di sinistra. Dall'altra parte invece, si è vista una destra tutt'altro che timorosa delle proprie idee e che continua ad avere successo, anche nelle sue componenti più radicali, come dimostra il caso della Lega.
Insomma la realtà italiana, da sola, basterebbe a smentire il luogo comune politologico che è stato tanto di moda fino ad oggi. Si potrebbero però citare casi come quello inglese, dove sembra avvenuto il contrario. In Gran Bretagna i laburisti, che da decenni non andavano al governo, hanno conquistato la vittoria e sono rimasti per molti anni al potere dopo un “rinnovamento” del partito, l'abbandono di alcuni principi cardine della propria tradizione e l'apertura al libero mercato. Tuttavia questa sarebbe una lettura parziale. Non si può analizzare la parabola del “New Labour” degli anni '90 senza confrontarla con quella dei loro avversari conservatori. Infatti la sinistra inglese è stata favorita dal governo eterno dei conservatori, dalla fine di un ciclo politico e dalla stanchezza dell'elettorato non più soddisfatto nei confronti delle loro politiche. Dopo decenni di governi conservatori, è facile immaginare che prima o poi sarebbe giunto il momento di un cambio. Tuttavia i laburisti hanno sostanzialmente proseguito nelle politiche liberistiche dei loro avversari, tranne per qualche leggera differenza. Così oggi dobbiamo constatare la loro disfatta. Un premier, Tony Blair, che abbandona l'incarico anzitempo e un altro, Gordon Brown, che sembra destinato alla ineluttabile sconfitta.
Se fosse vera la teoria “centrista” dovremmo avere a quest'ora tutti governi centristi stabilmente al potere. Eppure avviene il contrario. Negli Usa dopo otto anni di governo Bush, quindi tutt'altro che moderato, è succeduto un afro-americano con un programma assai più “audace” (considerando la situazione “bloccata” politica americana) di quello dei suoi predecessori. In Italia il governo Prodi, con la sua estrema cautela politica, è durato appena un paio d'anni, succeduto da un governo di destra assai meno scrupoloso nel “moderare” la propria tendenza politica, con una salda maggioranza. Del caso della Germania abbiamo già parlato. Merita menzione la Francia dove il rinnovo, pomosso nel campo socialista da Segolen Royal è fallito clamorosamente e il partito sembra voler tornare “alle origini” della Aubry (colei che propose le 35 ore). L'unica volta che i socialisti sono stati al governo è stato con un programma decisamente più radicale, che prevedeva l'abbassamento dell'orario di lavoro e la nazionalizzazione dell'energia. Dall'altra parte abbiamo la destra di Sarkozy che rompe l'alleanza col centro e che assume un profilo decisamente più netto di quello di Chirac.
Insomma, tutti i profeti che hanno gridato ai quattro venti che “le elezioni si vincono al centro”, a cominciare dall'eminente Giovanni Sartori, dove sono stati ascoltati col cappello in mano dai politici, hanno portato al fallimento la sinistra, mai la destra che invece non li ha mai ascoltati.
Anche perché è assai discutibile ciò che si intende con “moderato”. La politica di privatizzazione selvaggia attuata in Italia sia dal centrodestra che dal centrosinistra non mi pare sia proprio moderata. Sicuramente non è di sinistra. A nessun grande politologo è venuto mai in mente che forse è proprio questa la ragione per cui la sinistra perde? Semplicemente perché ha smesso di fare la sinistra?

14 commenti:

  1. Condivido senz'altro la tua analisi, Matteo.
    Sarebbe ora che anche in Italia (e nel resto d'Europa) la parola sinistra tornasse con tutti gli onori.
    E che tornasse, insieme a quella parola, lo studio della sua storia, delle sue lotte e della sua continuità nel presente: Costituzione, repubblica democratica ecc.
    E naturalmente, dovrebbe tornare la sua applicazione pratica: mi riferisco alle lotte, in primis operaie.
    Gli operai della Innse, quello che chiamerei "metodo Innse" e che sta felicemente "contagiando" tanti altri lavoratori, dimostra che tutto questo è possibile.
    Non abbiamo avuto per niente Gramsci, Rosa Luxemburg e perchè no?, lo stesso Che.

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  2. Questo risultato elettorale è certamente di grande interesse. Soltanto, credo che ne dovremmo sapere di più dell'universo politico tedesco. Purtroppo, il provincialismo della stampa italiana non trova meritevole di spazio sui giornali per quello che succede fuori dal nostro cortile.
    La tua analisi, seppure corretta riguardo allo scetticismo sulla regola della conquista del centro (che non è nè giusta, nè sbagliata, va verificata e dosata di volta in volta), si ferma ad aspetti di schieramento, mentre ciò che occorrerebbe alal sinistra italiana è piuttosto quale linea politica portare avanti, quei microatti politici che permettono di costruire un rapporto con gli elettori, che invece qui in Italia manca. Senza questi contenuti concreti, dirsi di sinistra in sè non sposta certo i consensi.

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  3. Riccardo, infatti la sinistra in Italia da diversi anni ormai ha perso il contatto con la realtà sociale del Paese e questo ha fatto sì che le lotte, soprattutto quelle operaie, venissero dimenticate dai media e diventassero "invisibili" al punto che molti giungono a negarle mentre sono più vive che mai. Serve una visione globale che possa dare alle rivendicazioni locali un respiro internazionale e una portata storica, e in questo solo una sinistra degna del nome che porta può riuscire.

    Vincenzo, non intendevo certo dire che i programmi e la linea politica non sono importanti, anzi. Semplicemente volevo mostrare come la tesi che la sinistra debba spostarsi al centro, mentre abbiamo una destra più reazionaria che mai, è naufragata clamorosamente.
    Certamente poi è necessario un programma politico e io aggiungerei anche una teoria politica e sociale che sappia dare conto della realtà attuale, unita naturalmente alla prassi. Tuttavia perché questa ricerca abbia successo occorre richiamarsi alle proprie "origini", alla propria storia e alla propria tradizione di lotta. Rinnegare il passato, non porta da nessuna parte, semmai studiarlo criticamente per comprendere gli errori e i successi, ma senza gettare l'acqua sporca con tutto il bambino come ha fatto il Partito democratico.

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  4. Per Matteo e gli amici di Matteo
    Ho il piacere di annunciare l'apertura ufficiale di una serie di blog sulla DD, che sono visitabili cliccando qui
    http://scuoladidemocraziadiretta.blogspot.com/
    Se i miei blog dovessero risultare di vostro gradimento, vorrei poter contare sulla vostra collaborazione.
    Grazie e cordiali saluti
    Didì

    Per Matteo
    1. Non ho un tuo indirizzo di posta elettronica: è possibile averlo?
    2. Ho cambiato il mio indirizzo di posta elettronica: te lo comunicherò.

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  5. Sinistra, non più forse comunismo ma "Sinistra". Un modo di pensare al futuro ma non schiacciando i diritti degli individui sia nel lavoro che nella vita privata. Oggi da noi, forse é questo il problema, non esiste nulla di paragonabile ad uno Zapatero o se vuoi anche Obama. Difficile quindi rispecchiarsi in qualcuno che non fa neanche una vera e seria opposizione.

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  6. Le cose che deve fare una vera sinistra: 1) ridare centralità, stabilità e sicurezza al lavoro; 2) rilanciare la scuola, la cultura e la ricerca; 3) garantire una sanità efficiente ed accessibile per tutti.
    E basta col mito del privato e del mercato: le crisi economico-sociali degli ultimi 20 anni e le migliaia di morti sul lavoro, non le ha causate certo il comunismo.
    Per chi invece non si sente come, come, un fossile politico, questi sono obiettivi DA CUI partire per un cambiamento radicale della società nel suo complesso e dell’UOMO. Obiettivi “da cui” partire, non sic et simpliciter mete da raggiungere.
    Discutiamo, però… tutti noi: verdi, comunisti, “sinistri” di varie tendenze (laboratorio politico-culturale…). Perché vogliamo tutti una società umana e non una giungla.
    Se discutiamo come faceva Gramsci, che aveva tra i suoi collaboratori il liberale Gobetti (pur rimanendo un vero comunista) e studiava Autori d’ogni tendenza, ci sarà ancora speranza.

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  7. Daniele, non c'è dubbio che rispetto al Pd uno Zapatero o un Obama sono diecimila volte meglio. Tuttavia io pensavo a una sinistra diversa, "più di sinistra" se così si può dire, che cioè anche sui temi economici non rinneghi le proprie origini, il che significa difesa del pubblico, contro le privatizzazioni selvagge. Ma soprattutto una sinistra che rimetta al centro della propria agenda politica il lavoro, troppo a lungo dimenticato. Si sente parlare dai politici di diritti delle minoranze, laicità, consumatori, diritti degli animali, parità sessuale (che va benissimo, beninteso!) persino (che va un po' meno bene) di finanziamenti alle imprese e libero mercato. Ma mai, dico mai, si sente parlare di lavoratori. E non parlo delle occasioni rare tipo quando accadono disastri nelle fabbriche che causano la morte di chi vi era dentro. Ma parlo di rimettere al centro del proprio programma politico il lavoro, condividerne le lotte e le aspirazioni, le potenzialità, se vogliamo, "rivoluzionarie". Col che non sto dicendo che tutti debbano essere comunisti. Suggerisco di dare un'occhiata al programma del partito laburista inglese degli anni '70, un partito non comunista e non marxista.

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  8. Insomma un partito di sinistra deve essere innanzitutto un partito dei lavoratori, a mio modo di vedere.

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  9. Mente persa, ormai gli unici che non se ne sono accorti sono quelli del Pd. Ma è il progetto stesso del Pd che è costitutivamente lontano da qualsiasi idea e pratica di sinistra. E' una pugnalata alla sinistra.

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  10. Riccardo, ci fossero ancora oggi liberali come Gobetti! Il guaio è che il dibattito culturale langue, c'è una incredibile sterilità intellettuale. Serve un'analisi e una critica del capitalismo odierno e questa manca.
    Ciò naturalmente non significa che bisogna dimenticare tutto e ricominciare da zero, semmai riprendere da lì dove si era lasciato il "filo rosso" che unisce le diverse tappe storiche della sinistra.

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  11. D'accordo con te al 100%, Matteo.
    Purtroppo, si è voluta dimenticare la radicalità e drammaticità della realtà del lavoro, il fatto che ci sia gente che davvero, deve scegliere se MANGIARE a pranzo oppure a cena!
    E poi, sarebbe definitivamente da superare il clima di pentitismo che conduce molti anzichè ad un serio dibattito storico e culturale, a grandi riti di autodemonizzazione come comunisti/e.
    Non possiamo ridurci a stalinisti nè il nostro movivimento si può ridurre allo stalinismo, come vorrebbero certi.
    Anche perchè conosco tanti/e che sotto un regime stalinista si sarebbero trovati benone (in quanto anti-comunisti) e tanti come me e te, sinceri comunisti che non schiaccerebbero una mosca, che sotto Stalin sarebbero finiti sottoterra.
    Ripartiamo (pur coi dovuti aggiornamenti storici) da Gramsci, R. Luxemburg, dal pensiero economico del Che e non dimentichiamo che Gorbacev, non certo un estremista fondava la perestrojka sugli scritti del Lenin della Nep.
    Ciao!

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  12. Nel dibattito politico italiano destra e sinistra non esistono più.

    Non si parla più di idee (di destra o di sinistra), ma si va avanti per casi: caso-Noemi, caso-intercettazioni, caso-D'Addario, caso Boffo, caso- frecce tricolori...

    Con questi presupposti la politica è morta!

    E CHE CASO!!!

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  13. Perchè un partito di sinsitra non può che essere anticapitalista, antimperialista ed operare per la costruzione di una società socialista. La poderosa macchina informatica dell'imperialismo criminale ci vuole far credere che il socialismo non c'è più, niente di più falso! Solo in Europa e negli Usa la sinistra si è svenduta, i paesi emergenti dell'Asia, dell'Africa e del Sudamerica sono tutti orientati alla costruzione di alleanze, pace e socialismo. Tra non molto ci sovrasteranno politicamente, culturalmente, economicamente e sopratutto per i valori che vanno diffondendo tra i popoli. Non a Caso Fidel Castro, odiato dalla nostra "sinistra", è considerato il padre dell'unità, della pace e dell'integrazione tra i popoli.

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  14. La sinistra dovrebbe fare la sinistra. Verissimo, lo penso anch'io e non condivido il progetto del PD. Attenzione però, la Linke ha la fortuna di trovarsi in un paese dove Vaticano, Mafia e controllo dell'Informazione Libera sono molto meno potenti che in Italia.

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