martedì 26 maggio 2009

Libri: "l'Ideologia tedesca"

Sinora gli uomini si sono sempre fatti idee false intorno a se stessi, intorno a ciò che essi sono o devono essere. In base alle loro idee di Dio, dell'uomo normale, ecc. essi hanno regolato i loro rapporti. I parti della loro testa sono diventati più forti di loro. Essi, i creatori, si sono inchinati di fronte alle loro creature. Liberiamoli dalle chimere, dalle idee, dai dogmi, dagli esseri prodotti dall'immaginazione, sotto il cui giogo essi languiscono. Ribelliamoci contro questa dominazione dei pensieri. Insegniamo loro a sostituire queste immaginazioni con pensieri che corrispondano all'essenza dell'uomo, dice uno; a comportarsi criticamente verso di esse, dice un altro; a togliersele dalla testa, dice un terzo, e la realtà ora esistente andrà in pezzi.


Così comincia l'Ideologia tedesca l'importante opera con cui Marx ed Engels prendono le distanze dalla “sinistra hegeliana” e dall'idealismo in generale.

Dopo la morte di Hegel infatti si erano formate due correnti: la “sinistra” e la “destra” hegeliana. La prima vedeva, interpretando l'opera del maestro in senso progressista, la razionalizzazione del reale quale necessaria svolta storica. La seconda invece riteneva che il reale fosse già di per sé razionale e ciò politicamente si traduceva in una posizione conservatrice.

I teorici della “sinistra”, in genere, sostenevano posizioni democratiche – anche se ciò non è sempre vero, come nel caso di Strauss – e contestavano la religione fino a concepire un aperto ateismo (Feuerbach).

Marx inizialmente era stato vicino a quest'ultima posizione, aveva frequentato i più importanti teorici rivoluzionari dell'epoca (Bruno Bauer, Marx Stirner, Ludwig Feuerbach) ma poi in seguito se ne era distaccato radicalmente. Aveva così iniziato quel percorso che avrebbe portato all'elaborazione di una teoria esplosiva: il materialismo storico. L'originalità non sta nel ricorso alla filosofia materialista, laddove i teorici di scuola hegeliana di destra o di sinistra erano tutti idealisti , ma della sintesi di questo materialismo con una concezione dialettica della storia. La dure condizione delle classi operaie che Friedrich Engels, figlio di un ricco industriale, aveva constatato furono poi determinati nella svolta dei due pensatori. Prese così forma la dottrina comunista, debitrice nei confronti non tanto dei socialisti “utopistici” come Owen o Proudhon, aspramente criticati, ma dei “vecchi” comunisti che si ritrovavano nella lega dei Giusti (divenuta poi Lega dei comunisti dopo l'apporto marxiano).

L'ideologia tedesca del 1846 (due anni prima del Manifesto) è un testo fondamentale perché oltre a formulare la critica nei confronti dei rivoluzionari hegeliani, accusati di essere rivoluzionari solo a parole, esprime anche una concezione del mondo radicalmente differente da quella comunemente diffusa, non solo tra le classi alte, ma anche tra le masse popolari. La concezione che la religione aveva contribuito ampiamente a diffondere e che Feuerbach aveva tentato di ribaltare anche se, a detta di Marx d Engels, con scarsi risultati.

La vera questione del testo è: da dove traggono origine le idee degli uomini? Dalla mente di Dio? Da quella degli uomini stessi? Dalla manifestazione dello Spirito? Queste erano le risposte che comunemente venivano fornite.


I Vecchi hegeliani avevano compreso qualsiasi cosa, non appena l'avevano ricondotta ad una categoria logica hegeliana. I Giovani hegeliani criticarono qualsiasi cosa scoprendo in essa idee religiose o definendola teologica.


Dunque l'approccio è lo stesso in entrambi i casi. Per questa “mania” di far derivare tutto dalla religione i due autori si prendono perfino gioco di Bauer e di Stirner, soprannominati San Bruno e San Max, un'accusa pesantissima, perché li pone sullo stesso piano dei loro conclamati avversari.

Per i “Giovani hegeliani” sono dunque i pensieri, le “rappresentazioni” ciò che opprimono gli uomini. Come diceva Feuerbach l'Uomo si spoglia per dare a Dio. Crea un concetto talmente potente da divenirne infine schiavo. Il creatore finisce per essere divorato dalla sua creatura. Ma:


A nessuno di questi filosofi, è venuto in mente di ricercare il nesso esistente tra la filosofia tedesca e la realtà tedesca, il nesso tra la loro critica e il loro proprio ambiente materiale.


Se ci si limita alle idee non si potrà far altro che opporre altre idee, ma la realtà materiale, concreta resta lì immutata e non cambia per il semplice fatto che qualcuno sostiene, per quanto a ragione, che Dio è la creatura e non il creatore degli uomini.

Si è spesso fatto riferimento agli uomini in quanto esseri dotati di coscienza, ma in realtà


Ciò che essi sono coincide dunque immediatamente con la loro produzione, tanto con ciò che producono quanto col modo come producono. Ciò che gli individui sono dipende dunque dalle condizioni materiali della loro produzione.


È quindi la produzione dei mezzi di sussistenza a definire realmente, anziché astrattamente, ciò che gli individui sono ed essa


non appare che con l'aumento della popolazione. E presuppone a sua volta relazioni fra gli individui. La forma di queste relazioni a sua volta è condizionata dalla produzione.


A questo punto vengono delineate le tappe storiche, dalla società tribale alla creazione dello Stato, dagli ordini feudali al sorgere del “mercato mondiale”.

Innanzitutto è stata la divisione del lavoro, tra lavoro agricolo e artigianale prima e tra industria e commercio poi, a determinare la divisione tra gli individui e quindi i diversi rapporti di forza, le catene vere. Con lo sviluppo delle forze produttive evolve di pari grado la divisione del lavoro. Così da una condizione di minima divisione, quella della società tribale, si giunge ad una situazione in cui la divisione della produzione è portata al massimo grado, come in epoca contemporanea.

Effetto della divisione del lavoro è anche la distinzione tra impiego intellettuale e manuale. Le masse lavoratrici rendono possibile a una parte minoritaria della società di dimenticarsi dei bisogni immediati della produzione di beni e dedicarsi così alla produzione delle idee. Di qui nasce l'illusione che siano le idee e l'attività intellettuale a generare quella materiale, ma questa è una falsa deduzione che nasce a posteriori, solo una volta che è già in atto il processo di divisione del lavoro.

Così


Le rappresentazioni e i pensieri, lo scambio spirituale degli uomini appaiono qui ancora come emanazione diretta del loro comportamento materiale. Ciò vale allo stesso modo per la produzione spirituale, quale essa si manifesta nel linguaggio della politica, delle leggi, della morale, della religione, della metafisica, ecc. di un popolo.


La comune rappresentazione è quella secondo cui sono le idee a guidare i processi storici e politici e invece


Esse non hanno storia, non hanno sviluppo, ma sono gli uomini che sviluppano la loro produzione materiale e le loro relazioni materiali trasformano, insieme con questa loro realtà, anche il loro pensiero e i prodotti del loro pensiero.


La produzione e la divisione del lavoro generano tutti quei rapporti tra gli uomini e le idee che li giustificano. Ognuno a una propria attività e una propria condizione alla quale non può sottrarsi.


Cioè appena il lavoro comincia ad essere diviso ciascuno ha una sfera di attività determinata ed esclusiva che gli viene imposta e dalla quale non può sfuggire: è cacciatore, pescatore, o pastore, o critico critico


Ognuno quindi è determinato nella sua vita dalla società nella quale vive. Solo nella società comunista gli uomini sono sciolti da queste costrizioni:


nella società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere , la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell'altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, cosi come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico.


Il cristallizzarsi dell'attività di ogni individuo spiega la separazione tra “interesse collettivo” e “interesse particolare” e come il primo finisca per apparire qualcosa di autonomo e distaccato dal singolo individuo per dominarlo: l'apparato, lo Stato che sovrasta il singolo e lo domina.

Lo Stato nella realtà esprime l'interesse di una classe particolare, quella dominante, anche se l'ideologia dei dominatori parla di interesse generale.


Tutte le lotte quindi non sono altro che lotte tra classi e la storia è una storia di questa lotta, anche se assumono la forma di scontri per la monarchia, per la democrazia e così via. Alla base non ci sono le idee, che non sono altro che un prodotto secondario, ma le forze produttive realmente operanti e il loro sviluppo finisce per determinare la forma sociale e politica più adeguata alla loro situazione storica.

La rivoluzione proletaria non è quindi l'attuazione di una tensione ideale, ma il risultato delle forze produttive in campo, della storia. Lo stesso mercato, luogo di affermazione della borghesia, e la sua affermazione su scala mondiale, pone i presupposti per l'ascesa del proletariato, lo rende internazionale, supera le barriere, prodotto di un'epoca storica precedente, nazionali, linguistiche e religiose e rende i proletari un'unica classe pronta a rovesciare l'ordine costituito.


Ancora oggi, a più di un secolo e mezzo di distanza, l'opera di Marx e di Engels può offrire un valido contributo alla comprensione dei processi sociali ed economici in atto e il modo in cui i detentori del potere cercano di giustificare l'ordine esistente. Può spiegare ad esempio, in un'epoca di distacco tra classi dirigenti e masse popolari, la contraddizione tra “l'interesse nazionale”, più volte sbandierato per giustificare guerre e atrocità in tutto il mondo o per favorire grandi gruppi industriali e finanziari, e il vero interesse, quello dei detentori che difendono i loro privilegi.

Certo, il materialismo interpretativo, la preminenza data ai fatti economici concreti è senz'altro, ancora oggi, malgrado tutto quello che se ne sia detto, proficuo e interessante, ma non è in grado di rendere conto, nell'era dei grandi apparati di propaganda, dei “mass media” la manipolazione della “coscienza”, proprio quella coscienza che la teoria marxiana pone alla fine del processo produttivo e che invece oggi sembra condizionare pesantemente non solo la vita politica, ma anche lo stesso operato “materiale” degli individui. Basti pensare a quanto le grandi multinazionali investono in pubblicità e quanto i partiti politici tengano all'”immagine” e alla propaganda.

Compito del marxismo, oggi, ripensare il rapporto tra le due sfere sociali evitando i due estremi: da un lato quello di chi, gettando l'acqua sporca con tutto il bambino, rinnega in toto l'approccio materialista e dialettico, dall'altro quello di chi intende assestarsi su un'anacronistica difesa anche delle posizioni ormai emendate dalla storia e dallo sviluppo, repentino e imprevedibile nel 1846, delle forze produttive.

12 commenti:

  1. "Innanzitutto è stata la divisione del lavoro, tra lavoro agricolo e artigianale prima e tra industria e commercio poi, a determinare la divisione tra gli individui e quindi i diversi rapporti di forza, le catene vere."

    Chiedo: Oltre a criticare la divisione del lavoro, per caso, Marx ha provato a spiegare perché, come e quando le società tribali si sono convertite alla divisione del lavoro?


    "la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, cosi come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico."

    Questo il quadro tipico della società tribale.
    Abbandonare la divisione del lavoro significa ritornare alla società tribale.
    Ora, sappiamo che la società tribale ha imboccato il viale del tramonto circa 5 mila anni (e ha dovuto arrendersi di fronte alla maggiore forza delle città-stato), quando la popolazione umana mondiale era di qualche decina di milioni.
    Domando: è possibile ritornare alla società tribale con una popolazione mondiale di sei miliardi?

    NOTA
    Caro Matteo,
    Così va meglio. È questo che devi fare: trasmetterci ciò che sai del marximo. Però ti pregherei di farlo in modo un po' diverso:
    1. citando l'edizione e le pagine dei libri che citi,
    2. confrontando il marximo ad altre teorie concorrenti,
    3. spiegando perché il marximo è preferibile.

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  2. Innanzitutto l'evoluzione del pensiero marxiano e il suo distaccamento dall'hegelismo come l'ho narrato è un fatto ampliamente riconosciuto praticamente da tutti per questo non ho ritenuto di specificare una fonte particolare.
    Mostrare questa evoluzione aveva proprio lo scopo di mettere la teoria di Marx a confronto, in controluce, non solo con l'idealismo, ma con tutta quella "ideologia non dichiarata" che spesso si fa valere per spiegare i fatti (ad esempio la teoria "idealista" secondo cui gli USA avrebbero invaso l'Iraq e l'Afghanistan per "esportare la democrazia" e non per i loro interessi economici e geopolitici). Comunque se vuoi un confronto più serrato con le altre ideologie oggi correnti (anche se le elaborazioni teoriche sistematiche oggi scarseggiano) sarò lieto di soddisfarti.

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  3. Per quanto riguarda le domande che poni:
    1. La divisione del lavoro nasce da esigenze produttive. In realtà già con la società tribale comincia una prima divisione del lavoro all'interno della famiglia. Marx lo spiega con l'aumentare dei bisogni a seguito della crescita demografica e quindi con l'aumento delle relazioni, interne ed esterne (commercio o guerra).

    2. Marx non propone di tornare alla società tribale. Ricordiamoci che egli non dà giudizi morali sulla storia o sulla società nella sua analisi. La divisione del lavoro è stato un fatto storicamente necessario per lo sviluppo delle forze produttive. Ma essendo la divisione del lavoro un fatto storico, come tutti i fatti storici è destinata a terminare. E termina non appena essa intralcierà anziché favorire lo sviluppo produttivo. La divisione del lavoro, con la proprietà privata, è stata necessaria per dare agli uomini le capacità produttive, la tecnologia, le macchine, le industrie. Non si tratta di abolire tutto ciò e tornare all'età della pietra. Semplicemente questi nuovi mezzi che il progresso ha fornito saranno utilizzati in modo diverso, saranno proprietà collettiva e non più privata.
    Il comunismo marxiano è la sintesi del comunismo "primitivo" delle società arcaiche (da cui eredita il collettivismo) e dell'industria delle società moderne capitalistiche (da cui eredita i mezzi e la tecnologia).

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  4. "Comunque se vuoi un confronto più serrato con le altre ideologie oggi correnti (anche se le elaborazioni teoriche sistematiche oggi scarseggiano) sarò lieto di soddisfarti."

    Sì, è proprio questo che vorrei. Vorrei che tu mi raccontassi ciò che sai della politica, in modo che io possa imparare da te, sentirmi arricchito.


    "La divisione del lavoro nasce da esigenze produttive."

    Tu stesso affermi che Marx riconduceva queste esigenze produttive all'incremento demografico (anche Malthus era arrivato alla stessa conclusione).
    Ora, non è difficile immaginare che l'incremento demografico comportava anche una riduzione degli spazi liberi.
    Insomma, se le tribù erano numerose e vicine l'una all'altra avevano tre sole alternative:
    1. farsi guerra
    2. cooperare
    3. aumentare la produzione.
    La storia ci dice che hanno fatto tutto questo. In particolare, ha cercato di aumentare la produzione, e lo ha fatto in tutti i modi possibili:
    - con la scoperta dell'agricoltura
    - l'allevamento
    - la conoscenza
    - la tecnologia
    - la divisione del lavoro
    È chiaro che tutto ciò ha generato altri problemi:
    - necessità di armarsi per difendere il surplus
    - diffusione delle guerre
    - nascita dello Stato
    Tutto questo succedeva 5 mila anni fa, quando la popolazione mondiale era di alcune decine di milioni di uomini.
    Ti chiedo: come credi che si possa invertire questo processo proprio oggi che nel mondo vivono sei miliardi di persone?
    E ancora: come pensi che sarà, concretamente, la nuova società dopo che saranno scomparse le classi e la divisione del lavoro?


    "Marx non propone di tornare alla società tribale. "

    Questo l'ho capito.
    Quello che non ho capito è l'aspetto formale che verrà ad assumere la società quando non ci saranno più lo Stato, le classi e la divisione del lavoro, una volta che abbiamo escluso il ritorno alla società di tipo tribale (dove peraltro una certa divisione del lavoro c'era già, come tu stesso ammetti)?


    NOTA:
    Nelle tue risposte, spesso tu ti appelli a Marx. Eppure, se ti ricordi, tempo fa mi avevi detto che ti ritieni una persona libera, che ti sei formato un tuo pensiero autonomo.
    Ebbene, se io volessi conoscere il pensiero di Marx, potrei farlo accedendo alle sue opere e all'immensa letteratura correlata.
    Il fatto è che io sono più interessato a conoscere il pensiero di Matteo.
    Cita pure chi vuoi, ma parla in prima persona.
    Dimmi quello che pensi tu.
    Fammi capire, quando parli, che sei una persona libera.

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  5. "Ti chiedo: come credi che si possa invertire questo processo proprio oggi che nel mondo vivono sei miliardi di persone?
    E ancora: come pensi che sarà, concretamente, la nuova società dopo che saranno scomparse le classi e la divisione del lavoro?"

    E' vero, siamo sei miliardi di persone e siamo destinati ad aumentare. Tuttavia bisogna considerare una cosa. Che la ricchezza prodotta grazie alla tecnologia è enormemente aumentata e sarebbe sufficiente a sfamare tutta l'umanità, senza bisogno di un'ulteriore crescita, anzi, produciamo cose inutili di cui si potrebbe fare volentieri a meno. Produciamo ad esempio troppa carne e per farlo abbiamo bisogno di destinare colture ad ingrassare gli animali, che invece potrebbero essere usate per sfamare esseri umani.
    Grazie al progresso dell'industria è possibile oggi lavorare di meno e soddisfare nel contempo le esigenze produttive. Questo significa che ognuno potrà in un futuro dedicarsi all'attività preferita e non necessariamente sempre la stessa. Se non è costretto a fare un certo lavoro tutto il giorno l'idividuo è libero di dedicarsi a ciò che vuole.
    Questo succede in misura molto piccola anche oggi. Un esempio sono i cosiddetti hobbies: la conquista di maggiore tempo libero ha permessso l'uomo di dedicarsi ad altre attività. Oggi però queste attività sono ad uso e consumo personale, per puro svago. Nella società comunista invece non c'è distinzione tra svago e lavoro. Ad esempio uno potrebbe fare l'insegnante una mattina e dopo poche ore di lavoro trare a casa e fare il falegname, oppure coltivare l'orto, o studiare, o qualunque cosa vuole, dato che non c'è più un lavoro a tempo pieno che assorbe tutte le sue energie. Quello che in questo modo viene prodotto non sarà soltanto ad uso personale, ma potrà in parte essere offerto alla comunità e ognuno potrà usufruirne.

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  6. Io naturalmente non ho la palla di vetro, ma si può pensare a due possibilità:
    Ad esempio una società in cui si creano dei depositi di merci in cui ognuno prende ciò di cui ha bisogno, gratuitamente.
    Oppure in alternativa, se si vuole conservare una certa monetarizzazione, si può pesnare a una retribuzine in denaro sulla base dei bisogni di ognuno. Con quel denaro io acquisto ciò che mi serve in esercizi commerciali di proprietà collettiva. La monetarizzazione permetterebbe di dare ad ognuno né più né meno di ciò che gli spetta.
    Ma queste sono solo delle ipotesi. Io penso che dovrebbe essere la necessità storica a stabilire quale modello dovrebbe prevalere, che magari ggi non siamo in grado di immaginare.

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  7. "Il fatto è che io sono più interessato a conoscere il pensiero di Matteo."

    Marx è una parte importante del mio pensiero, ma naturalmente la storia non rede possibile una riproposizione pedissequa della sua teoria.
    Lo dicevo a proposito del rapporto tra "struttura" e "sovrastruttura", ideologia e sistema economico che a mio avviso dovrebbe essere ripensato.

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  8. "la ricchezza prodotta grazie alla tecnologia è enormemente aumentata e sarebbe sufficiente a sfamare tutta l'umanità"

    Non ne sarei così sicuro. Io so che le risorse del pianeta sono limitate e che un consumo smodato delle stesse potrebbe superare la capacità di smaltimento delle scorie da parte del pianeta stesso.
    Dubito inoltre che, senza una divisione del lavoro, si possa mantenere l'elevato livello di tecnologia che abbiamo acquisito.




    Prendo atto che non hai idea (e presumo non l'avesse nemmeno Marx) di come sarebbe una società senza classi e senza divisione del lavoro. Ma non puoi, a mio avviso, demolire un sistema sociale che in qualche modo ha dimostrato di funzionare, senza avere un'idea di come sarà il sistema sociale che lo andrà a sostituire.
    Credo che nessuna persona di buon senso sarà disposta a seguirti senza sapere dove sta andando.





    Il fatto che tu pensi ad "una società in cui si creano dei depositi di merci in cui ognuno prende ciò di cui ha bisogno, gratuitamente" mi induce a credere che stai sognando. Il tuo è un paese della cuccagna, una sorta di paradiso terrestre, che tutti vorremmo avere, ma che, purtroppo, mi sembra francamente utopistico.
    A mio giudizio, perché possa avere un minimo di credibilità, dovresti essere in grado di dimostrare che la società che tu proponi, dove ognuno può prendere gratuitamente ciò che gli serve e che può cambiare diversi lavori nell'arco della stessa giornata (io credo che sia difficile saper fare tante cose e saperle fare anche bene), sia realmente possibile.
    In caso contrario, se cioè non sei in grado di dimostrarne l'attuabilità, io avrei ragione di credere che sei un ingenuo visionario.




    "Marx è una parte importante del mio pensiero"

    A tal punto che tu non puoi esprimerti come Matteo?

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  9. Innanzitutto io non scinderei le due cose. Le mie conoscenze sono parte integrante del mio pensiero. Non si può separare l'invenzione originale dalla conoscenza acquisita, a meno di non avere una personalità schizofrnica.

    "Io so che le risorse del pianeta sono limitate e che un consumo smodato delle stesse potrebbe superare la capacità di smaltimento delle scorie da parte del pianeta stesso."
    Vero. Ma questo ci induce a concludere due cose:
    a) bisogna fare a meno delle risorse energetiche fossili a favore delle rinnovabili
    b) bisogna andare verso un sistema economico non più fondato sul consumo, ma sul risparmio.

    nessuna delle due condizioni è soddisfatta dall'attuale economia capitalistica.
    Quanto alla divisione del lavoro essa è concepibile in una società ad alto consumo energetico. Una società che si accontenta di produrre il necessario per vivere potrebbe fare a meno di una parte consistente della divisione del lavoro.
    Mi pare l'unica alternativa. Una società in cui devi avvitare bulloni per 12 ore al giorno non mi pare proprio qualcosa che valga la pena di conservare.

    "Prendo atto che non hai idea (e presumo non l'avesse nemmeno Marx) di come sarebbe una società senza classi e senza divisione del lavoro. Ma non puoi, a mio avviso, demolire un sistema sociale che in qualche modo ha dimostrato di funzionare, senza avere un'idea di come sarà il sistema sociale che lo andrà a sostituire.
    Credo che nessuna persona di buon senso sarà disposta a seguirti senza sapere dove sta andando."

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  10. Innanzitutto le tue premesse sono solo parzialmente corrette. Io non ho un'idea PRECISA di come sia una società senza classi (così come i "pionieri" del capitalismo del XV secolo non avevano un'idea precisa di come sarebbe stata una società capitalistica "tout court", e lo stesso Adam Smith, nella "ricchezza delle nazioni" non poteva immaginare in realtà come sarebbe stato il capitalismo industriale del XX secolo) ma ciò non mi impedisce di fare delle ipotesi.
    Poi tu dici che il sistema attuale ha dimostrato di funzionare. Io dico che ciò non è vero. Un sistema che ha ridotto i 4/5 dell'umanità in balia di fame, guerre e malattie e il restante quinto della popolazione, salvo qualche eccezione, a passare la propria giornata tipo lavorando in una fabbrica o dietro una scrivania, non mi pare proprio si possa dire che funzioni.
    Non mi pare si possa dire che funzioni un sistema che sta distruggendo l'ambiente e che rischia di causare l'estinzione della specie umana. Se questa è la situazione in cui dobbiamo vivere io credo che valga la pena di cambiare. O almeno di provarci.
    Terzo. Tu parli come se io proponessi un passaggio improvviso dal capitalismo al comunismo. Non è così. C'è una tappa intermedia in cui lo stato è organizzato in senso socialista e su questo si possono fare molto più che semplici ipotesi o sogni.
    Il socialismo è perfettamente realizzabile se si considerano capacità produttive, anzi è auspicabile.
    Infine dai per scontato una cosa: che il capitalismo assicuri sempre e comunque un progresso indefinito. Non è così. A un certo punto il capitalismo ha perso la sua spinta propulsiva e finisce per diventare un'ostacolo al progresso scientifico e sociale (che pure in passato aveva fatto sviluppare).

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  11. Io non sono capitalista, anzi sono un critico del capitalismo.
    Non sto difendendo il capitalismo.
    Sto solo dicendo che ha funzionato "in qualche modo", ossia in un modo che io sicuramente vorrei migliorare.
    Io vedo la democrazia diretta.
    Mi piacerebbe conoscere il tuo modello socialista.

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  12. Del mio modello socialista ne ho parlato con te qualche tempo fa: ho parlato del ruolo dello Stato e della democrazia nei luoghi di lavoro.

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