sabato 7 novembre 2009

Ottobre rosso


Oggi ricorrono i 92 anni dalla rivoluzione bolscevica. Una data spesso dimenticata ormai, anche a sinistra, nell'ondata di revisionismo storico che vuole infangare la memoria di eventi come la Resistenza e il Sessantotto.
Sulla rivoluzione d'ottobre grava una pesante aria di accuse a volte false, a volte parzialmente vere ma decontestualizzate, come su tutto ciò che appartiene alla tradizione comunista.
In realtà quello fu uno dei momenti più fortemente emancipativi delle masse, degno di essere ricordato accanto alla Rivoluzione francese, alla Comune di Parigi e alla lotta contro il nazi-fascismo.
La Russia zarista d'inizio secolo, al contrario degli altri paesi europei dell'epoca, non aveva ancora conosciuto una rivoluzione borghese e un'organizzazione capitalistica della società, non aveva nemmeno visto quel pallido riformismo in cui credettero molti liberali russi all'epoca di Alessandro II. Nonostante ufficialmente la servitù della gleba fosse stata abolita nel 1861 nella realtà le cose andavano molto diversamente e la popolazione delle campagne viveva in una condizione di schiavitù effettiva.
Tuttavia la società russa era tutt'altro che immobile. Fermenti rivoluzionari attraversavano il paese già dal XIX secolo; c'erano gli anarchici, i nichilisti, i socialisti. E più tardi anche i comunisti.
La situazione di lunga sudditanza in cui versavano le masse diede così presto i suoi frutti in un'epoca di grandi trasformazioni sociali in tutto il mondo che non poteva non attraversare anche la Russia. Così nel 1905 ci fu una prima ondata di scioperi e proteste a seguito del quale lo zar fu costretto a concedere poteri alla Duma, il parlamento. Tuttavia lo zar si rimangiò la parola e questo causò ulteriore malcontento. La Prima Guerra Mondiale contribuì ad inasprire le condizioni del proletariato russo e la situazione divenne presto insostenibile.
Il 23 febbraio 1917 i lavoratori proclamarono lo sciopero generale. L'esercito ricevette l'ordine di reprimere nel sangue la rivolta. Ma nei giorni seguenti reparti dell'esercito si unirono agli operai. Il 27 febbraio venne occupata la Duma dagli insorti. Il 2 marzo Nicola II venne esautorato e il 15 marzo i ribelli formarono un governo provvisorio. Al governo parteciparono i “cadetti” cioè il partito dei liberali, i socialisti rivoluzionari e i menscevichi.
Il governo provvisorio guidato dal socialrivoluzionario Kerenskij non attuò le riforme promesse, il popolo continuava a soffrire la povertà, la libertà di parola e di riunione venne di fatto più volte violata con la repressione, l'esercito soffocò con la forza gli scioperi e le proteste, ma soprattutto il governo commise il tragico errore di continuare la guerra affamando così sempre più le masse.
La crisi si aggravò ulteriormente quando il generale Kornilov marciò contro il governo provvisorio con lo scopo di ripristinare il vecchio regime. Kerenskij allora, che nel frattempo perdeva l'appoggio anche all'interno del suo partito, fu costretto a chiedere l'aiuto dei bolscevichi guidati da Vladimir Ilic Lenin e ad armarli. Nacque così la Guardia Rossa. Decisione che sarebbe stata fatale per Kerenskij. Dopo che Kornilov fu sconfitto, infatti i bolscevichi avevano ormai la maggioranza nei soviet, l'organismo che rappresentava i lavoratori, appoggiati anche dalla sinistra socialrivoluzionaria. Così, nella notte tra il 6 e il 7 novembre (24 e 25 ottobre secondo il calendario giuliano) i bolscevichi guidarono la rivolta popolare e infine occuparono il Palazzo d'Inverno di Pietrogrado, un tempo la residenza degli zar. Deposto il governo provvisorio venne deciso il trasferimento del potere ai soviet seguendo il motto bolscevico “tutto il potere ai soviet”. Nasceva così la Repubblica Socialista Sovietica Russa.
La rivoluzione bolscevica fu il primo tentativo riuscito (e forze l'unico se si escludono le brevi esperienze della Spagna del 1936 o dei primi anni della Cuba rivoluzionaria) di realizzare la teoria marxista.
Molti assunti della tradizionale analisi marxiana, fatta propria dalla socialdemocrazia, vennero messi in discussione da Lenin. In particolare il presupposto secondo cui non ci sarebbe potuta essere una rivoluzione proletaria senza uno sviluppo capitalistico della produzione, condizione mancante nella Russia dell'epoca. Inoltre secondo Lenin gli operai non avrebbero mai potuto maturare da soli una coscienza rivoluzionaria, essi potevano al massimo raggiungerne una “tradunionistica”. Così si renderebbe necessario che un partito guidi le masse verso la rivoluzione.
La strada intrapresa grazie alla teoria leninista e al governo bolscevico venne presto abbandonata dopo la presa del potere di Stalin. Sarebbe sbagliato vedere quest'ultimo in continuità con Lenin.
Innanzitutto la politica di Lenin fu tutt'altro che estremista e avventata. Egli avviò importanti riforme tra cui la NEP, la Nuova Politica Economica, che consisteva in una parziale liberalizzazione del mercato, provvedimento necessario data la particolare situazione nazionale. Lenin sapeva benissimo che non era possibile procedere immediatamente verso collettivizzazioni a tappeto le quali sarebbero dovute succedere a un graduale processo di trasformazione. Stalin, invece, appena giunto al potere, avviò la collettivizzazione forzata delle terre e la deportazione dei contadini renitenti.
Inoltre era ben chiaro a Lenin che la rivoluzione non avrebbe mai potuto essere circoscritta al territorio nazionale ma avrebbe dovuto estendersi al mondo intero. Egli non dimenticò mai l'internazionalismo che da sempre aveva ispirato la teoria e l'azione dei comunisti di tutto il mondo. In epoca staliniana valse invece il principio del “socialismo in un solo paese” con cui si rinunciava di fatto a ogni tentativo di estendere la rivoluzione ad altri paesi.
Ma la condanna della storia più grave riguarda naturalmente le “Purghe” attraverso le quali vennero deportati e uccisi tutti coloro che fossero in disaccordo o anche solo nel sospetto di esserlo con la deriva autoritaria del regime pseudo-socialista staliniano. Tra questi anche importanti comunisti che ebbero parte attiva nella rivoluzione tra cui Kamenev, Zinov'ev, Trotsky e Bucharin. Le purghe proseguite durante tutto il periodo staliniano sarebbero costate caro durante l'attacco nazista in cui l'esercito si vide decimato e in forte difficoltà. Inoltre Stalin avviò un feroce sfruttamento dei lavoratori allo scopo di alimentare la crescita industriale. Questo rende l'URSS di Stalin a tutti gli effetti uno stato capitalista che perseguì metodi di duro sfruttamento del proletariato per aumentare il profitto. La storia ci ha dimostrato che Lenin aveva purtroppo visto giusto quando aveva raccomandato l'allontanamento di Stalin dal partito.
È perciò assai ingiusto attribuire i crimini di Stalin al comunismo in quanto tale, come se essi fossero causati da teorici e militanti che non vi presero mai parte e che anzi fecero di tutto per contrastarle. Si può invece ravvisare nel dispotismo staliniano un residuo delle vecchie forme autocratiche di gestione del potere, che in Russia non sono scomparse del tutto nemmeno oggi, unitamente a uno sfruttamento capitalistico dei lavoratori, un ibrido micidiale. Il motto dei bolscevichi “tutto il potere ai soviet” nei fatti non fu mai realizzato e questo anche a causa di Stalin che fermò quel processo emancipativo del proletariato russo avviato nel 1917.
Ma cosa ci insegna oggi, a 92 anni di distanza, la rivoluzione d'ottobre? Innanzitutto il fatto che è soltanto la classe dei lavoratori a poter rappresentare le speranze di libertà per il futuro. Ogni governo che non sia con i lavoratori, per i lavoratori e dei lavoratori (per parafrasare una celebre frase sulla democrazia) non potrà mai liberare questi ultimi. Perciò qualsiasi “tatticismo” e “opportunismo” che mira a ottenere il potere senza finalizzarlo alla liberazione dallo sfruttamento di questo sistema capitalistico è destinato non solo a fallire, ma a ritorcersi contro chi ne ha fatto uso come fu per Kerenskij e per i menscevichi. Tradire le speranze del proprio popolo per restare al potere con qualche compromesso sempre più a ribasso è una tattica fallimentare per chiunque voglia rappresentare la classe operaia.
Ogni riferimento a persone o partiti attualmente esistenti è puramente casuale.

5 commenti:

  1. molto più che "qualche compromesso" !

    RispondiElimina
  2. purtroppo anche la sinistra continua a dimenticare e rimuovere queste date storiche che rappresentano radici di valori importanti... ora la politica ha totalmente dimenticato il popolo e il compromesso è alla base della carriera per rimanere inchiodati alla poltrona

    RispondiElimina
  3. Ha sempre fatto comodo alla propaganda confondere l'operato di Lenin con quello di Stalin. Per giudicare e, perché no, anche per criticare la rivoluzione d'ottobre è necessario conoscere come sono andati i fatti. E la maggior parte delle critiche vengono da persone a cui manca questo basilare requisito. Lodevole post.

    RispondiElimina
  4. ciao matteo, bellissimo post. posso rubartelo e pubblicarlo sul sito "alla fonte" (http://www.alla-fonte.it)? poiché il nostro taglio editoriale è un po' più neutrale, però, vorrei prima sottoporti alcune domande sul post e una leggera revisione che sarebbe necessaria ai contenuti del sito

    se sei interessato, puoi trovarmi via e-mail a iuliusscaevola chiocciola yahoo punto it

    RispondiElimina
  5. Sarebbe ora che la sinistra italiana rileggesse un poco la storia. Chissamai che si vergogni e decida di ritornare a compiere la sua missione....

    RispondiElimina