venerdì 28 agosto 2009

Tony Blair, l'illusione della sinistra


L'incantesimo è svelato. Per molto tempo e ancora oggi la sinistra ha avuto e continua ad avere profeti fasulli. Si pensi a politici come Bill Clinton, come Bettino Craxi, come Segolene Royal, Walter Veltroni o come lo stesso Barack Obama. Ci sarebbe da domandarsi che cosa di loro susciti tanta ammirazione a sinistra, visto che di sinistra, nelle loro politiche e nei loro programmi, ce n'è ben poca. Forse l'illusione che una volta abbandonati senza troppi scrupoli il marxismo, possa essere rimpiazzato dalle strampalate e confuse tesi dei suddetti personaggi. L'illusione che possa esserci una “Terza via” tra socialismo e liberismo. Un simile assunto è stato smentito dai fatti, perché i cantori della nuova politica finivano puntualmente per ricadere nel secondo.
Tra codesti “innovatori” c'è da annoverare senz'altro Tony Blair. La sua vicenda è esemplare perché a un certo punto ha deciso di gettare la maschera. Lo ha fatto proprio ieri, ospite del meeting di Comunione e Liberazione, e già questo dovrebbe dire tutto. L'avvenimento è da far rientrare nel progressivo avvicinamento dell'ex Primo Ministro britannico alla Chiesa Cattolica, cominciato con la miracolosa conversione del 2007.
Ma è interessante il discorso che ha tenuto davanti alla platea ciellina. Coloro che non conoscessero il personaggio rimarrebbero stupiti sapendo che è stato per molto tempo additato a modello dai politici di sinistra.
L'orazione, accolta da calorosi applausi, comincia con una confessione: “andavo a messa già da molti anni, ho sentito che la Chiesa cattolica era la mia casa, non solo per il magistero e la dottrina, ma anche per la dimensione universale della Chiesa cattolica”. Dunque, nel periodo in cui i vari Fassino, D'alema, Rutelli e compagnia bella dicevano di ispirarsi all'ex Premier britannico, costui andava a messa e sentiva il magistero e la dottrina della Chiesa come “la sua casa”. Che immagine poetica! Dunque altro che laburismo! Il vero ideale politico di Tony Blair è la dottrina sociale cattolica! Di conseguenza, la vera ispirazione dei nostri politici “moderatamente di sinistra” che si ispirano a Tony Blair era ed è sempre la dottrina sociale della Chiesa. Andiamo bene! Poi il grande uomo di sinistra critica “l'individualismo”. “Il perseguimento del massimo profitto – prosegue – a breve termine, senza guardare al bene comune, è un errore e non porta né al profitto né al bene”. Dopo avere per anni al governo promosso politiche liberiste che facevano contenta la destra adesso ci viene a parlare dei mali dell'individualismo, una doppia morale tipicamente cattolica. Ha assimilato bene gli insegnamenti di Papa Ratzinger, non c'è che dire.
D'accordo, non sarà stato il massimo in campo economico, però almeno ha portato avanti una giusta battaglia sulla laicità: “troppo spesso la religione è vista come una sorgente di conflitti” e qui tutti i suoi ammiratori tra le file radicali già incominciano a storcere il naso, ma qual è il compito della religione? “fare quello che da soli non si può fare” ah davvero? Io pensavo fosse la politica quella. “La voce della Chiesa dovrebbe essere ascoltata” tranquillo, Tony, in Italia non c'è pericolo! Va bene, fin qui passi, ma quando giunge ad attaccare “il laicismo aggressivo” io qualche domanda comincerei a farmela se fossi in coloro che lo hanno a lungo creduto un campione della laicità. Ma non finisce qui. Il “socialista” inglese sembra essere posseduto dal demone di Gasparri quando dice: “Il sostegno chiaro e solido della Chiesa cattolica supporta i politici”. Alla faccia della laicità! Un politico dovrebbe rincorrere l'appoggio della Chiesa? E questo sarebbe l'alfiere della laicità?
“Nei nostri Paesi abbiamo radici giudaico-cristiane e dobbiamo esserne fieri. Anche se siamo di fedi diverse e abbiamo le nostre identità, viviamo nelle stesse città e ci sono valori comuni che tutti devono rispettare” Bagnasco si frega le mani, Calderoli si frega le mani, Berlusconi forse lo inviterà a Palazzo Grazioli, ma senza la moglie, offrendogli qualche graziosa accompagnatrice per festeggiare la fede ritrovata. Il grande statista non solo ripropone la solita solfa delle radici cristiane dell'Europa, che è una chiacchiera perché l'Europa ha parimenti radici islamiche, pagane, mistico-orientali, orfiche, deiste, illuministe etcetera, etcetera; non solo, ma giunge persino a sostenere che dobbiamo rispettare quei valori comuni di ascendenza giudaico-cristiana. Socialista, abbiamo già appurato che non è. Liberale, dopo questa uscita, certo non si può dire. Ma allora che cos'è? Ognuno giudichi da sé. Certamente dopo questo discorso ai suoi vecchi ammiratori dovrebbe venire da dirgli, come faceva Moretti con D'Alema: “dì qualcosa di sinistra!”. Qualcosa di sinistra Blair lo disse, nel lontano 1983, nel suo primo discorso da parlamentare: “Non sono socialista perché la lettura di un libro di testo ha acceso la mia fantasia e neppure perché provengo da una tradizione accettata senza riflettere; lo sono perché credo che il socialismo sia l'ideale più vicino ad un'esistenza che sia insieme, razionale e morale. Esso è per la cooperazione, non per la competizione; per l'amicizia, non per la paura. Esso sostiene l'uguaglianza”. Chissà cosa avrebbe detto il giovane Blair di uno che ha mandato i soldati in Afghanistan, in Iraq e in Serbia a massacrare civili, mentendo al popolo inglese sulle inesistenti armi di distruzione di massa irachene.
Allora la pensava così. Che cosa gli rimane oggi di quelle idee? Semplicemente nulla. Come nulla rimane del Veltroni dirigente comunista, o del Bertinotti versione Subcomandante.


Fonti:
ASCA
L'Occidentale
Wikipedia

mercoledì 26 agosto 2009

Sulla sessualità

Premetto che faccio riferimento ai seguenti articoli:

Ho letto il dibattito su comedonchisciotte e, mi dispiace dirlo, ma sono leggermente disgustato. Ne emerge il più bieco e il più cinico "materialismo" (nel senso peggiore del termine, essendo io un materialista convinto sul piano filosofico e politico) una volgarità e una "bestialità" degne del tempo che stiamo vivendo. L'articolo di Paolo Barnard trovo sia un concentrato di pregiudizi, luoghi comuni, "machismo" camuffato della peggior specie. Prima di tutto "andare a puttane" la trovo una cosa degradante per lo stesso uomo che vi partecipa e non solo per la donna che lo subisce. E poi, sia detto per inciso, finiamola di chiamare "puttane" le prostitute. Sarebbe come chiamare "masochisti" i braccianti che lavorano da schiavi nelle campagne. La prostituta fa quel lavoro per la sola ragione che ne ha bisogno per vivere, non perché "le piace". Le puttane sono altre e sono donne che fanno sesso per puro piacere fisico, estromettendo del tutto l'affettività dal rapporto sessuale. Le puttane, come i "puttani" (il linguaggio maschilista non contempla declinazione di genere) sono degli anaffettivi, delle persone che vivono la sessualità in maniera alienante. Il "sesso veloce" secondo l'espressione usata da Paolo Barnard (erroneamente assimilato al momento ludico della sessualità), è una forma di alienazione tipica della società capitalistica avanzata che negli ultimi anni ha raggiunto picchi mai realizzati. Come nel lavoro, nella religione, nella politica, anche nella sessualità l'essere umano dell'era capitalistica sperimenta un'alienazione in cui diventa oggetto, così come il lavoratore diventa merce. Come il lavoratore è espropriato del prodotto del proprio lavoro, così nel sesso uomini e donne sono espropriati della loro affettività e individualità e sono costretti a "vendere" (non per forza per denaro ma anche in cambio del solo piacere fisico) il loro corpo. Il "sesso veloce", non è una condizione di libertà, la puttana, o il suo omologo maschile, non sono liberi, perché operano una "scelta" imposta da questa società consumistica che mercifica il corpo ed elide i sentimenti, l'affettività.
Questa scissione provoca, da un lato, un moralismo bigotto da parte di chi si rinchiude nel mito del “rapporto matrimoniale” e della sessualità finalizzata alla procreazione che esclude qualsiasi piacere; dall'altro la mercificazione del corpo e del rapporto ridotto a semplice scambio, alienando così la dimensione affettiva. Come diceva Marcuse, si fa sesso come si prova un'auto da corsa.
Nell'un caso, quindi, il corpo viene privato del piacere fisico, nell'altro dell'affetto, in entrambi i casi esso subisce lo stesso destino, cioè viene mutilato.

Neanche l'articolo di Nicoletta Forcheri ho potuto condividere, che non è nient'altro che la riproposizione speculare del primo, solo che in questo caso anziché vittimizzare il maschio si vittimizza la femmina (e parlo a ragion veduta di maschio e di femmina anziché di uomo e di donna). In entrambi è riscontrabile una gara tra generi a chi è più “facile”, ovvero chi si fa meno domande sulla personalità del proprio partner prima di farci sesso.
Anche in questo caso manca qualsiasi significativo e non marginale riferimento alla sfera affettiva riducendo il sesso a una mera questione biologica, “scambio di umori e di liquidi” come si è espressa l'autrice mentre stigmatizzava il preservativo, assieme ai suoi avversari reazionari. La differenza è solo che in questo caso la prospettiva è rovesciata: anziché su Eva, la colpa pesa su Adamo, ma la forma mentis rimane immutata.
La falsa coscienza borghese induce a scaricare la responsabilità della frustrazione sessuale sul genere opposto, mascherando così quelli che sono la vera causa del male, ovvero i rapporti sociali. Non è un problema psicologico, né tantomeno biologico, perché affonda le radici nella struttura stessa della società, nei rapporti di produzione.

La società capitalistica, man mano che si evolve, tende a ridurre tutto a merce, a oggetto di scambio, anche le persone e i rapporti umani e la sessualità non fa eccezione.
Così si cerca “sesso veloce”, perché lo scambio è veloce, un “do ut des” senza riflessione. Lo scambio è privo della sfera affettiva. Ciò che è scambiato non può avere una valore affettivo, altrimenti non sarebbe inserito nel circuito di acquisto-vendita della società di mercato. La merce è in un certo senso un prodotto della creatività umana ma “disumanizzato”, alienato da qualsiasi valore che non sia quello di scambio. Ogni merce si equivale. Una certa quantità di una merce equivale a un'altra quantità di un'altra merce. La quantificazione è propria di un oggetto spersonalizzato, sottratto alla creatività e alla emozionalità umana. La merce non conosce altra legge che quella della ragion calcolante.
Riducendo perciò il sesso a uno scambio di organi sessuali, o di liquidi, se ne elide la dimensione affettiva, che non può essere quantificata, misurata, comparata. La sessualità realizzata, non alienante, liberata, non può essere né “veloce” né “lenta”, perché non è misurabile.
Per gli individui anaffettivi, le donne o gli uomini facili, i partner sono interscambiabili, perché ogni scambio è un momento a se, che non coinvolge la sfera affettiva. Ci si trova di fronte a degli agenti di commercio che pubblicizzano la loro merce e cercano di renderla attraente. Un'aspirapolvere che riscuote poco successo presso la clientela lo si modifica. Così gli agenti del sesso modificano chirurgicamente il loro corpo, per renderlo più appetibile agli “acquirenti”. Ma una volta ridotto a mero scambio di merci il sesso aliena la propria funzione essenziale, che non è né il piacere fisico fine a se stesso, né la procreazione e la famiglia, ma l'armonia sociale. Naturalmente in una società conflittuale e alienante anche il sesso viene vissuto in maniera conflittuale e alienante.
È in voga una concezione di cui ci si deve sbarazzare. E cioè che il sesso deve essere ricondotto alle sue categorie elementari biologiche, deve essere, insomma, lo stesso degli animali, per essere soddisfacente. Questa è una visione astratta perché nella sessualità umana non può essere scisso l'elemento biologico da quello culturale. Anche il piacere meramente fisico, l'orgasmo fine a se stesso è debitore alla cultura. L'immagine del corpo, essenziale nella sessualità, non può prescindere dall'elaborazione culturale. Non può farlo nemmeno l'orgasmo. Analogamente, anche il rapporto più sublimato non può fare a meno di una base fisiologica. Il sesso meramente biologico, quello del bonobo che si accoppia continuamente, per far riferimento a un'immagine utilizzata, è un'illusione, perché la sessualità non è un fattore immutabile, ma un fenomeno storico, soggetto a mutamenti.
Ci si è illusi, e questo dibattito mi fa concludere che ci si continua a illudere, che l'elisione netta del retaggio culturale possa portare a una liberazione sessuale dell'uomo o della donna o di entrambi. Basta che la donna si liberi dell'etichetta di “puttana” quando le va di fare sesso e che l'uomo faccia a meno di sentirsi il “cacciatore” che deve catturare una preda. Una concezione meramente negativa, quindi, che si limita a negare il passato, finendo poi però, involontariamente, per riproporlo sotto altre vesti.
In realtà ciò non basta. E la cosiddetta “rivoluzione sessuale” doveva avercelo dimostrato ampiamente. Il venir meno delle inibizioni non è sufficiente di per sé a consentire una realizzazione piena del desiderio dei due sessi. È quello che aveva cercato, inascoltato dopotutto, di dirci Marcuse parlandoci di “desublimazione repressiva”. L'idea ingenua che il mondo possa essere meno conflittuale una volta abbattute le inibizioni circa il sesso e quindi che l'armonia dei rapporti sociali sia direttamente proporzionale alla facilità delle relazioni sessuali e alla mancanza di divieti non corrisponde necessariamente al vero. Questo perché si è avuta una “deerotizzazione” dell'ambiente in seguito alla desublimazione che ha permesso di integrare il sesso nella sfera pubblica. Ma è una soddisfazione locale, che non abolisce, ma anzi esalta, la frustrazione globale, pur dando all'individuo l'impressione di appagamento. “Il sesso è integrato nelle relazioni di lavoro così come nelle relazioni pubbliche, e per tal via gli si permette di trovare più facilmente soddisfazione (controllata). Il progresso tecnico ed una vita più confortevole permettono di includere sistematicamente certe componenti libidiche nel regno della produzione e dello scambio di merci. Ma per quanto possa essere controllata la mobilitazione dell'energia istintuale (in certi casi si tratta di “organizzazione scientifica del lavoro” applicata alla libido) per quanto possa servire a sostenere lo status quo, essa rappresenta pur sempre una gratificazione per gli individui amministrati, così come li diverte far scattare il fuoribordo, spingere sull'aiuola la falciatrice a motore e guidare l'auto ad alta velocità” (da L'uomo a una dimensione).

lunedì 24 agosto 2009

Superenastolto


Televisione e stampa ci stanno massacrando con questa storia del superenalotto, il montepremi sempre più grande, le vincite, le interviste idiote ai tabaccai e alle persone che giocano; hai giocato? Quante volte giochi? Cosa faresti se vincessi? E via di questo passo. Cosa può fregarmene quello che ci farà il Sig. Rossi con i suoi 100 milioni di euro? Cosa può fregarmene di chi sia questo Sig. Rossi? Cosa può fregarmene del superenalotto?
Io non gioco a queste lotterie demenziali pubblicizzate dallo Stato e dalla televisione pubblica che paghiamo con il canone e con le tasse. Non partecipo per due ragioni; una perché non voglio diventare ricco: non ho l'ambizione di vivere in una villa di 500 mq con piscina, di girare con un mercedes coupé o con un Suv per le strade del centro e vestire capi da 1000 euro ma prodotti a 5. Chiamatemi pure scemo. Ma a me certi prodotti di lusso hanno da sempre dato allo stomaco. Per dare ai ricchi la villa da 500 mq, il mercedes e il Suv, il capo da 1000 euro ci sono i poveri che devono sgobbare tutto il giorno per 800 euro al mese. E non venitemi a dire che il ricco se li è sudati. Giocare in borsa non è sudare, speculare sugli immobili non è sudare, sfruttare manodopera non è sudare, evadere il fisco non è sudare. E non è sudare neanche vincere al superenalotto.
In secondo luogo non partecipo a questa febbre collettiva perché sono contrario a questa istigazione allo sperpero che lo stato continua a perpetuare servendosi della tv pubblica. Il tg1 di ieri è stato qualcosa di scandaloso, praticamente tutto dedicato a questa faccenda della vincita “storica”, con la complicità dell'imbecillità della gente che si presta a queste strumentalizzazioni. I servizi a raffica hanno anticipato la situazione in Afghanistan, il pestaggio di un ragazzo omosessuale e persino la mano del Papa! (e sappiamo quanto sia attenta la rai quando c'è di mezzo la bianca tonaca). Ma non si rende conto nessuno di come lo stato specula su quella che in molti casi, per molte persone, è una droga vera e propria? Lo stato ha privatizzato i treni, le autostrade e persino l'acqua potabile, ma continua a gestire quello che è a tutti gli effetti gioco d'azzardo, ha senso tutto questo?
Per questo io al superenalotto non gioco e spingo tutti a non giocarci e la stessa cosa vale per lotterie varie, scommesse sportive e quant'altro.
Questa nostra società continua ad alimentare il sogno di Cenerentola, “non preoccupatevi se avete un salario da fame, se il vostro padrone vi sfrutta e se non potete permettere a vostro figlio di andare all'università, tanto potete giocare alla lotteria e sperare di diventare ricchi, c'è sempre un principe azzurro che potrebbe bussare alla vostra porta”.
Le probabilità di vincere, si sa, sono bassissime, talmente basse che è come dire nulle. Eppure tanta gente si illude ogni volta, diventa ossessionata da questa mania, aizzata dalla televisione pubblica, da direttori di testata che offendono la categoria e che dovrebbero solo essere espulsi immediatamente dall'albo se esistesse un minimo di etica professionale in questo paese.
State tranquilli: non vincerete mai la lotteria, se non cifre ridicole dopo averne speso il doppio per giocarci durante l'anno. Fate meglio a risparmiare quei soldi, o magari a darli in benficenza.

mercoledì 5 agosto 2009

Spugne e api operaie




Da questa mattina la polizia sta procedendo allo sgombero della Innse in via Rubattino a Milano, lo stabilimento presidiato da mesi da una quarantina di operai che si oppongono alla chiusra della fabbrica. La situazione, secondo la Questura, per ora è sotto controllo e sul posto sono arrivati alcuni giovani dei centri sociali per dare solidarietà agli operai. Allontanati dai cancelli, i lavoratori hanno tentato di bloccare la vicina Tangenziale Est ma sono stati respinti da una carica della polizia al termine della quale due operai sono rimasti contusi. Ma il presidio non si è sciolto ed è stato riformato in via Rubattino a qualche metro dai cancelli della fabbrica dove sarebbero già iniziate le operazioni di smantellamento dei macchinari ceduti dalla Innse a un'altra azienda. Secondo quanto è stato riferito, le forze dell'ordine stanno eseguendo un provvedimento con cui la magistratura ha disposto la riconsegna dei macchinari e del sito industriale. Pertanto le operazioni dureranno circa una settimana, tempo necessario alle ditte interpellate per entrare nella fabbrica e smontare i macchinari. La vicenda della Innse si trascina dalla fine del maggio dell'anno scorso, quando l'imprenditore Silvano Genta comunicò ai dipendenti con un telegramma di aver avviato la procedura di mobilità. Da allora la fabbrica è stata autogestita dagli operai che hanno continuato a produrre. Poco meno di un anno fa lo stabilimento è stato messo sotto sequestro dall'autorità giudiziaria, infine dissequestrato e da allora vigilato giorno e notte da un gruppo di operai.
Osservatorio sulla repressione, 2 agosto 2009

PANAREA - Sta meglio, parla, ed è fuori pericolo anche se rimane ricoverata in rianimazione la ragazza di 18 anni, veneta, finita in coma etilico dopo aver partecipato ad una festa in barca al largo di Panarea.
LA DINAMICA - La ragazza era lunedì sera assieme a un centinaio di altri giovani che a bordo di diverse imbarcazioni avevano raggiunto lo scoglio di Lisca Bianca, improvvisando lì una sorta di rave party marino, con musica a tutto volume e bevande alcoliche. Improvvisamente la diciottenne ha perso i sensi e gli amici con un gommone l'hanno trasportata al porto di Panarea. Qui la guardia medica, che ha riscontrato un coma etilico e riscontrato le gravi condizioni, ha richiesto l'intervento dell'elisoccorso del 118 per il trasferimento al Papardo.

Il Corriere della Sera, 4 agosto 2009


Storie di ordinaria follia, direte voi. Eppure sono storie che riguardano tutti.
Certamente, se vuoi trascorrere una vacanza in un certo modo sono affari tuoi. Però non lamentarti se ti capita una cosa de genere. Hai voluto fare la tua fottutissima vacanza da ricca, sopra una barca con gente che neanche conosci, a sbronzarti come una spugna, fino a perdere quei pochi neuroni che hai e quel poco di dignità che ancora ti rimane. Una tua scelta. Hai voluto provare l'ultima moda creata appositamente per i citrulli come te, nell'isola dei vip, imitando le ostentazioni di gente che ha anche più soldi di te, guadagnati in modo non certo cristallino. Una tua scelta. Hai voluto sguazzare nella melma del lusso lontana (ti illudi) dalla miseria, lontana dalla merda su cui è costruito lo spreco di denaro, di energie e di corpi umani. Non ti sei voluta porre nessuna domanda. Non ti sei chiesta chi è quel ragazzo carino che hai visto, e con cui più tardi hai fatto sesso, se sia un cretino qualunque o un mafioso qualunque, anche se la differenza è minima, non ti sei chiesta chi è che produce quel marciume che tu chiami “vita” e quella manipolazione che tu chiami “festino”, “party” e perché lo produce. Una tua scelta. Dici che lo scopo è divertirti. Ma ignori o fingi di ignorare che quel “divertimento” è fabbricato dai padroni della tua vita, del tuo cervello e persino del tuo corpo, attraverso il quale ingrandiscono il Capitale. Non solo il loro capitale, ma il Capitale in generale. E controllando voi, servi del sistema, sguatteri volontari del profitto, prostituti della grande industria culturale, controllano anche noi, che quel sistema, quel profitto e quell'industria culturale la odiamo e la respingiamo. Una tua scelta, ma una scelta che imponi a noi tutti, perché a noi tutti imponi di vivere in questo paese e in questo mondo, che noi non abbiamo scelto e che tu ti illudi di scegliere.
Con la tua scelta eterodiretta ci hai imposto la tua società di spugne, di amebe, di lobotomizzati e anche di parassiti. E quando parlo di parassiti non mi riferisco a te. Tu non sei una parassita, ma l'essere parassitato, quello da cui i pidocchi succhiano tutto il nutrimento, anche a costo di mandarti in coma, che poi fanno passare per una tua libera scelta. I parassiti occupano il posto più alto nella scala gerarchica. Le spugne quello più basso. Anzi, il penultimo, perché sotto di loro ci sono le api operaie. Le spugne sgobbano per i parassiti. Ma lo fanno in un modo diverso. Lo fanno in un modo diverso dalle api operaie, che sono costrette a lavorare e quello che fanno non amano farlo. Non amano il sistema, le api operaie. Le api operaie, quando si incazzano, fanno vedere i sorci verdi ai coltivatori di miele. Bisogna avere il massimo rispetto per le api operaie. Soprattutto quando si incazzano.
Le spugne invece no. Loro assorbono tutto quello che gli viene buttato giù. Non solo alcool. Anche cultura commerciale, robaccia fatta passare per arte, magari arte “postmoderna”; kitsch, divertimenti prefabbricati, omologazione di massa, spersonalizzazione, assuefazione alla follia del sistema, persino gradimento di esso, individualismo senza l'individuo “alternativismo” senza alternativa, “trasgressione” senza contestazione. Assorbono tutto questo e lo rendono ai parassiti sotto forma di oro.
Le spugne amano il loro sfruttamento, amano le loro catene e non vogliono minimamente spezzarle. Le spugne non si incazzano. Non sono come le api operaie. Le spugne, quando anche si incazzano, lo fanno contro coloro che vogliono rompere quelle catene ricoperte di fiori, oppure contro coloro che sopra le catene non hanno nessun fiore, i diseredati, i barboni, gli accattoni che chiedono loro qualcuno di quegli spiccioli che loro preferiscono sprecare, i clandestini che rubano loro il paese che non sono capaci di costruire.
Le spugne non si ribellano. Credono di farlo, ma in questo modo non eseguono altro che ordini impartiti dai parassiti. Una ribellione che non sia contro il potere non è una ribellione. Una ribellione fatta in nome del potere non è una ribellione. Eppure questo non lo capiscono. E allora si ribellano contro le api operaie. Formano le loro maggioranze silenziose che diventano rumorose soltanto nelle loro villette o nelle discoteche dei parassiti, durante i loro festini, durante una sbronza o dopo una sniffata di coca.
Le spugne, sopra ogni altra cosa, amano i parassiti. Quegli stessi parassiti che nutrono col proprio sangue. Li amano perché sperano di diventare, un giorno, come loro. Per questo li imitano. Per questo si indebitano per comprare una casa enorme, come fanno le spugne americane, o rischiano la vita per fare una vacanza esotica, o magari si ubriacano fino a restarci secche. Assorbono fino a scoppiare e poi si strizzano fino a disidratarsi. In questo credono di imitare i parassiti. Ma i parassiti non scoppiano e non si disidratano. Solo le api operaie possono far scoppiare i parassiti. Ma sono ormai ridotte in miseria e odiate da tutti. Per questo molte di loro cercano di diventare spugne, ma è tutto inutile. Loro sono e resteranno sempre delle api operaie. Solo una rivoluzione potrebbe farle diventare qualcos'altro. Magari delle farfalle, che volano libere dai coltivatori di miele, dai parassiti e dalle spugne e si posano sul fiore che vogliono, quando vogliono e come vogliono. Ma la rivoluzione hanno tentato di farla una volta e non ci sono riuscite. E adesso non la possono fare perché hanno pagato caro la loro sconfitta e hanno negoziato delle terribili condizioni di pace. Una pace persino peggiore della guerra, sotto molti aspetti. Le spugne la rivoluzione non l'hanno mai fatta e non la faranno mai tantomeno ora che sono in gran numero. Loro odiano tutte le rivoluzioni, anche quella che, a suo tempo, fecero i parassiti contro i parassiti dei parassiti. Perché odiano le farfalle, perché odiano la libertà.
Ragazza in coma etilico, tu sei una spugna. Se una spugna muore non è una gran perdita, perciò non lo sarebbe se tu morissi. È cinico? È crudele? Non è colpa mia, prenditela col tuo sistema che ti ha reso spugna e che tu difendi con tutte le tue forze. Prenditela coi parassiti. Ma tu non puoi farlo. Perché una spugna non può andare contro la sua natura di spugna. Ci vorrebbe una mutazione genetica.
Ma quando a morire è un'ape operaia, quella è una perdita gravissima. Perché per ogni ape operaia che muore o che smette di lottare o che vuole diventare spugna, c'è un sogno che muore. Il sogno di un mondo dove le api operaie decidono cosa fare. Un mondo di sole api operaie, senza parassiti né spugne. Senza nemmeno l'ape regina, che nei fatti ormai non conta più niente. O magari, addirittura, il sogno di un mondo di farfalle, che possano la mattina impollinare un fiore, il pomeriggio succhiare il nettare, la sera allevare un bruco, dopo pranzo svolazzare, quando e come vogliono, senza diventare né impollinatrici, né succhiatrici, né allevatrici, né svolazzatrici.